Arti Performative

#Shortheatre. Marta Dalla Via – Veneti fair // Zaches Teatro – Dittico della Visione. Il fascino dell’idiozia #1

Marcella Santomassimo

La prima serata del festival Short Theatre ha visto in scena i personaggi stereotipati dello spettacolo firmato da Marta Dalla Via e il fascino oscuro delle pitture di Francisco Goya nell’opera della compagnia toscana Zaches Teatro

Alla Pelanda si è da poco conclusa la nona edizione di Short Theatre. Le luci si sono spente negli spazi aperti (e chiusi) dell’ex mattatoio del Testaccio che per dieci giorni è stato sfondo e testimone della rivoluzione di linguaggi artistici. Ritorniamo un po’ indietro, esattamente al giorno dell’inaugurazione, quando abbiamo iniziato la nostra immersione nel mare dei nuovi linguaggi creativi con Marta dalla Via, prima sulla nostra scaletta.

Attrice veneta, nativa di Tonezza del Cimone, comunica principalmente con le parole in uno show che trae linfa scavando nel terreno delle sue origini portandosi fuori un po’ di tutto: dall’imprenditore che sfrutta gli immigrati, alla vedova pettegola e bigotta, dall’insegnante emigrato siciliano che cerca di sotterrare il suo dialetto con un dizionario vicentino a alla Miss Polenta che, paladina dell’intolleranza tra le religioni, sputa fuori frasi fatte, al “morto di Biancosarti”. Personaggi stereotipati, interpretati tutti da Dalla Via che con grande maestria imitativa gli dà voce, corpo e volto, che mescolati e shakerati per bene danno vita a Veneti Fair.

Dopo Piccolo mondo alpino, Marta della via, spalleggiata da suo fratello Diego Dalla Via e avvalendosi della regia di Angela Malfitano, continua la vivisezione, la messa sotto la lente di ingrandimento di un microcosmo concentrato di personaggi comuni, gente di montagna che muta faccia con il cambiare delle stagioni. Il teatro di Marta della Via è un cabaret di clown. Ogni presente sorride e si diverte credendo che ad essere preso in giro è qualcun altro ma non è così: Il mondo è rotondo ed il destino di uno che vive al nord sarà sempre l’essere terrone per qualcun altro.

Mettiamo nel taschino questa consapevolezza e ci incamminiamo verso Zaches Teatro. Scendiamo di regione, dal veneto alla toscana. La compagnia infatti è nata nel 2007 dall’incontro degli artisti fiorentini Francesco Givone, Luana Gramegna, Stefano Ciardi ed Enrica Zampetti vincitori di alcuni importanti premi all’International Puppet Theatre Festival 2010 di Ekaterinburg con Fastus! Faustus! ispirato al mito di Faust, progetto che ricordava vagamente i lavori della compagnia berlinese Familie Flöz ma con atmosfere e ambientazioni più scure e cupe. Anche qui il buio fa da sfondo al Fascino dell’Idiozia, primo capitolo della Trilogia della Visione che affronta l’opera di tre pittori, indagando la visione come forma di percezione. Fascino indaga le pitture nere di Francisco Goya, pittore spagnolo tra i più misteriosi, realisti e inafferrabili del XVIII secolo, che risalgono all’ultimo periodo della sua vita, quando divenuto sordo in seguito ad una malattia, mutò la sua arte in geniale follia; le sue visioni erano così reali da sembrare fotografie della realtà. Streghe, figure fantastiche e sanguinarie popolavano la sua mente. Dal buio del palcoscenico emergono brandelli di corpi, mani, braccia, gambe, piedi e nel buio ritornano, inafferrabili come visioni che si fanno sempre più insistenti, che premono per uscire fuori. I corpo spezzettati si ricompongono e si battono in un conflitto insolubile tra esseri umani, proprio come nel famoso quadro di Goya, Duello con bastoni.

Il mondo di anime nere che Goya aveva dipinto sulle pareti della sua fattoria riaffiora a poco a poco e prende luce sul finale con il liberarsi dalle rocce del grande caprone. Simbolo di oscuri presagi, di riti di streghe, il caprone danza su una musica elettronica tribale, suoni primordiali, che sprigionano l’essenza della mente immaginifica di un artista che seppe raccontare la guerra senza averla mai vista, visionario, geniale, affascinate. Una performance dalla quale emergono scene e immagini di forte impatto emotivo e visivo; ma Francisco Goya continua a sfuggire agli artisti che lo affrontano tanto immensa e radicata è la profondità che genera la sua opera. Non una nota di demerito ma la vittoria ancora una volta di un’arte misteriosa che non può essere penetrata se non per portare alla luce squarci e suggestioni. Un’altra consapevolezza da mettere nel taschino.  



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