Marco D’Amelio // Le serve. Un caso che non esiste
Il regista Marco D’Amelio mette in scena l’atto unico di Jean Genet, Les Bonnes. Una rilettura particolare per un’opera piuttosto moderna che ha, però, il sapore di dramma di altri tempi.
Due serve, Claire e Solange. Due sorelle, Claire e Solange. Due anime deliranti che, sul palco della loro vita vuota e fatta di accondiscendenza, giocano a scambiarsi le parti sfogando tutto il loro rancore nei confronti della loro Madame. Solange è Claire, Claire è Madame, Claire è Solange, Solange è Madame.
Nella situazione quasi meta-teatrale che si viene a creare in scena, le due donne non fanno altro che celebrare la dicotomia di sentimenti che le lega a Madame (amore, odio, reverenza, invidia) attraverso una perenne “prova generale” di quella che sarà l’azione che, pensano, cambierà la loro misera esistenza: l’omicidio della loro ricca signora.
Una simulazione che resterà tale fino alla fine, ristabilendo un equilibrio precario e tragico.
Il regista Marco D’Amelio con Le Serve. Un caso che non esiste mette in scena l’atto unico di Jean Genet, Les Bonnes, avvalendosi della prova attoriale delle tre giovani Valentina Bonci, Chiara Mancuso e Federica Salvati. Una rilettura particolare e una scelta registica altrettanto azzardata per un’opera piuttosto moderna (Genet scrive nel 1946) che ha, però, il sapore di dramma di altri tempi.
Solange e Claire vivono in un eterno passato o un eterno presente, non è chiaro. Nulla, né i loro abiti, né gli oggetti di scena, riescono a dare un tempo storico all’azione, benché le due interpretazioni sembrino effettivamente richiamare un vecchio stile di recitazione collocabile ai tempi della tragedia shakespeariana.
La comparsa di Madame, però, destabilizza e disorienta ulteriormente: una ragazza in top nero con il piercing all’ombelico, smartphone in tasca e cuffiette nelle orecchie. Sembra quasi di vedere due epoche diverse e lontane sovrapporsi e convivere sullo stesso palco, senza trovarne una continuità logica a primo impatto. Forse neanche alla fine della performance, quando Madame prende il telefono e comincia a scattare foto ai corpi esanimi delle due serve.
Che l’intenzione del regista fosse quella di creare, da un testo preesistente, una storia dal valore universale di retaggio, mi permetto di dire, quasi pirandelliano (il gioco delle parti, l’imposizione sociale dei ruoli, il desiderio di cambiare la propria vita) non è del tutto chiaro. È difficile capire le motivazioni, così come è complicato mandare giù una Madame che disattende le aspettative, perché chi arriva sul palco non è una donna dalle sembianze di vera signora, ma un’adolescente ormai cresciuta che vive nel mondo “selfie”.
Eppure è la sorpresa, l’incapacità di trovare risposte durante lo spettacolo, che fa sì che una performance come questa possa essere considerata teatro del pensiero, un teatro delle domande che spinge a riflettere fino ad arrivare a formulare una propria, personalissima, risposta.
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- Titolo originale: Le serve. Un caso che non esiste