#Orizzonti14. Teatri di Vita – Jackie e le altre
Tra i debutti forse più attesi del Festival Orizzonti si poteva annoverare il secondo capitolo del trittico di Andrea Adriatico sulla drammaturgia della scrittrice Premio Nobel nel 2004, Elfriede Jelinek.
Tra i debutti forse più attesi del Festival Orizzonti si poteva annoverare lo spettacolo di Andrea Adriatico frutto del suo studio sulla drammaturgia della scrittrice austriaca, Premio Nobel nel 2004, Elfriede Jelinek: Jackie e le altre, un altro pezzo dedicato a Elfriede Jelinek.
Nel mese di luglio, Andrea Adriatico ha percorso con la collaborazione di Anna Amadori una prima tappa del viaggio di approfondimento a Bologna, dove ha curato un seminario teatrale e debuttato al festival “Cuore di Brasile” con Delirio di una trans populista. Dopo esser passato attraverso la Jackie di Chiusi, Teatri di Vita approderà in prima assoluta nel mese di ottobre al “VIE – Scena Contemporanea Festival” con Un pezzo per SPORT (tratto da Sport. Un pezzo).
Partiamo col dire che dopo aver preso visione di Jackie e le altre, ho cercato di ripetere a me stessa che la personale delusione era dovuta all’evidente altezza delle aspettative. Mi sono presa un po’ di tempo per rifletterci su.
Il testo di Jelinek, profondo e a tratti cerebrale, nella forma di un lungo stream of consciousness analizza lucidamente il personaggio di Jacqueline Onassis. L’autrice riversa tutti i complessi, le tragedie familiari, la meschinità della donna di potere vista come contraltare all’altra grande celebrità americana dell’epoca, nonché leggendaria rivale in amore, Marilyn Monroe. Jacqueline esalta se stessa come icona, pura forma, involucro, dell’essere femminile. Dispiegando tutta l’eloquenza di un ego smisurato, Jackie parla della sua figura come farebbe qualsiasi donna attenta all’esternazione della propria immagine, costantemente dipendente dall’opinione altrui; ma proprio nello spazio intimo del monologo, in un continuo scambio tra “dentro” e “fuori”, la donna parte dalla descrizione del suo punto vita per arrivare a confessare episodi intimi della sua vita privata, senza pudori.
Nella resa scenica di Andrea Adriatico Jackie “si fa in quattro”, nel senso che il monologo perde la sua organicità e si dipana tra quattro attrici, vestite in maniera omogenea, con l’abito nero classico che contraddistingueva la first lady americana. Questa moltiplicazione dell’immagine rappresenta il fulcro concettuale dello spettacolo, un’idea registica che serve a raffreddare l’intimità del testo: “serializzando” l’icona di Jackie come le coeve serigrafie di Andy Warhol, Adriatico tenta di contestualizzare il personaggio facendo del monologo un’opera pop, o postmoderna, ma non vi riesce del tutto – la regia non è troppo ben definita – perché alcuni espedienti, viceversa, aspirano al coinvolgimento emotivo dello spettatore (come la presenza poco armonica di un telo per proiezioni su un lato della scena dove si leggono impresse con funzione didascalica le frasi d’effetto pronunciate dalle donne, trasformando così lo schermo in una specie di bacheca di “frasi fatte”), e ricercano banalmente l’equazione “Jackie = tutte le donne”, metafora che si esplica attraverso il lento reclutamento di spettatrici da portare in scena e vestire da Jackie.
Se la regia dello spettacolo, da un lato, lascia il tempo che trova, disperdendosi in un accumulo di spunti che potevano essere contestualizzati in modo più preciso, anche l’interpretazione delle attrici – Anna Amadori, Olga Durano, Eva Robin’s, Selvaggia Tegon Giacoppo – non è stata quella sera all’altezza delle aspettative: mancavano l’energia e il magnetismo che occorrerebbero per affrontare un testo così intenso nell’espressione della coscienza femminile.
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- Titolo originale: Jackie e le altre