Arti Performative

Daniele Muratore // T4 – Un giardino per Ofelia

Renata Savo

Dal testo di Pietro Floridia ambientato nella Germania hitleriana anni Quaranta, lo spettacolo vicitore del Premio “Attilio Corsini” nel 2009 per la regia di Daniele Muratore, che racconta da una prospettiva poco nota la terribile vicenda dell’olocausto. Un olocausto definito “minore”, eppure non meno sconvolgente

Da Roma a L’Aquila in auto: un’ora di viaggio, poco più, poco meno. Destinazione? Gran Teatro Zeta. Ubicato a un quarto d’ora da L’Aquila, il teatro è situato in una zona – ci dicono – che dopo il terremoto ha cominciato a rappresentare simbolicamente la nuova piazza cittadina, pur essendo lontana diversi chilometri dal centro storico. Quest’area è un luogo di ritrovo, un territorio dal quale ripartire per la ricostruzione di un’identità locale, in cui giovani, meno giovani, famiglie, hanno la possibilità di condividere passioni e momenti piacevoli. Sono sorpresa di fronte al paesaggio che incornicia il centro sociale che ci accoglie, circondato dai monti dalle vette ancora innevate; e soprattutto, è la prima volta che vedo un teatro affiancare un campetto da calcio, un accostamento che non può non farmi sorridere e pensare che, una volta tanto, il teatro ha la sua giusta collocazione, vicino al luogo “mainstream” del campetto da calcio, come se recarsi a teatro nel tempo libero ne rappresentasse la valida alternativa: due luoghi entrambi, anche se in modi diversi, deputati al “gioco” e allo svago. Il teatro sembra qui aver recuperato, quindi – o almeno mi piace pensare che sia così – la sua funzione originaria di aggregatore sociale.

Lo spettacolo in programma è del giovane regista Daniele Muratore, formatosi all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”: T4 – Un giardino per Ofelia, dal testo di Pietro Floridia ambientato nella Germania hitleriana anni Quaranta, che racconta da una prospettiva inedita la terribile vicenda dell’olocausto.

Un olocausto definito “minore”, eppure non meno sconvolgente, era quello perpetrato attraverso il “Programma Tiegenstrasse 4”, che prevedeva l’eliminazione tramite eutanasia delle persone incapaci di contribuire alla crescita del sistema economico: soggetti con gravi problemi cognitivi o psichici considerati dal regime nazista “vite indegne di essere vissute”.

L’immagine del giardino nel titolo è più simbolica che reale, più mentale che fisica (lo spazio scenico è, difatti, semivuoto): il luogo ideale in cui si esprime una natura libera e innocente come quella del personaggio di Ofelia (Barbara Giordano), che con l’omonimo personaggio shakespeariano condivide non solo il nome, ma anche la follia e l’assenza di un padre, un colonnello rimasto ucciso in un’imboscata; un’altra vittima, insomma, non del “folle” Amleto, ma di ben altra e pericolosa follia: la guerra. L’autore ha cercato (e poeticamente trovato) di mettere in contrapposizione all’immagine delle “erbacce da estirpare”, metafora usata dai nazisti per indicare determinate categorie di esseri umani la cui sopravvivenza era ritenuta improduttiva, quella di un giardino in cui Ofelia sogna di rifugiarsi, in cui emblematicamente si coltiva l’amore per la natura e per la “diversità”.

Il testo di Floridia racconta il legame affettivo di Ofelia con un’altra donna sola, un’infermiera mandata a controllare lo stato di salute mentale della giovane, che però finisce per avvicinarsi a lei e provare nei suoi confronti una sorta di amore materno, che la spinge ad aiutare Ofelia a difendersi da un tragico destino. La regia di Daniele Muratore mette bene in evidenza quanto lontani siano i mondi delle due donne: l’una, la cosiddetta “Signorina Gertrud” (anche per lei il sottile richiamo a Shakespeare: il marito, defunto, la faceva sentire una “Regina”) costretta nel suo ruolo, rigida, composta, e vestita di nero; l’altra, invece, vestita di bianco e libera nelle sue movenze così come nell’utilizzo dello spazio scenico. A fare da contrappunto all’intero spettacolo, il suono poco invasivo – e funzionale alla resa dei momenti di maggiore intensità drammatica – del contrabbasso suonato da Marco Polizzi, con cui la “folle” Ofelia interagisce come fosse un terzo personaggio drammatico. Altra nota musicale dello spettacolo, la bella voce dell’attrice interprete dell’infermiera Gertrud, Serena Ottardo, che canta i pezzi più noti di Edith Piaf, icona dell’epoca; un’identificazione, quella tra Getrud e la Piaf, assolutamente non casuale se si pensa che anche il nome, Edith, pare le fosse stato affibbiato in memoria di un’infermiera inglese fucilata per aver aiutato dei soldati francesi a scappare dalla prigionia tedesca durante la prima guerra mondiale.


Dettagli

  • Titolo originale: Tiegenstrasse 4 - Un giardino per Ofelia

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