Emma Dante – Le sorelle Macaluso
Con grande commozione, la Fondazione Romaeuropa saluta il Teatro Palladium con cui non viene rinnovata la collaborazione, durata dieci anni. L’ultimo grande applauso va allo spettacolo di Emma Dante: “Le sorelle Macaluso” ci hanno regalato tutto quello che il teatro può darci.
“Il teatro nasce al buio. Il buio è l’inizio di tutto: la vita di un essere umano si forma dentro l’utero, le tartarughe nascondono le uova sotto la sabbia, i fiori sbocciano di notte, i minerali preziosi si creano nelle profondità della terra, la fotografia si compone al buio. Tutto fa pensare che il sole c’entri poco con la vita, se non in seconda battuta.” Sono le parole di Emma Dante riportate nel libro di fotografie di Giuseppe Di Stefano a lei dedicato. Un’osservazione affascinante, illuminante, nella quale risiede l’essenza e il principio del suo teatro, di quel groviglio di suoni, voci, movimenti, melodie antiche che scavalcano la quarta parete con una violenza dalla quale traspare il tentativo della creatrice di plasmarla, addolcirla, ma che non si lascia modellare; materia che sfugge a qualsiasi tentativo di categorizzarla, se non seguendo un canale esclusivamente emotivo e sconfinando nel campo delle suggestioni, dei vuoti allo stomaco, dei brividi che sottili risalgono la schiena dello spettatore.
Le sorelle Macaluso sono anime che nascono dall’ombra, la loro marcia fa rumore, i loro passi sono quelli dei combattenti che si sfidano, alla maniera dei pupi siciliani, con spade per attaccare e scudi per difendersi. Ma gli spettatori non hanno dapprincipio la piena percezione di ciò a cui stanno assistendo; s’insinuerà presto in loro il presentimento che sul quel palcoscenico il mondo dei morti ha fatto capolino in quello dei vivi, o magari è avvenuto il contrario. Una storia di donne del sud che parlano il dialetto, la lingua dell’istinto, l’idioma sporco che da sempre contraddistingue il teatro della Dante. Impossibile raccontare le sue storie con un italiano puro e perfetto, anche quando accade è sempre contaminato da inflessioni, una lingua rabbiosa che non può essere ammorbidita, che non ha bisogno di essere sempre comprensibile. A farle da spalla c’è il corpo, teso fino all’inverosimile, caricato a molla ma anche leggiadro; un’entità superiore. Le sette sorelle si raccontano rievocando il rapporto con il padre, la bellezza e la sincerità del cuore della loro madre, i loro lutti, i loro morti. Alle spalle delle sorelle, separati da una sottile linea visibile, i morti rivivono l’attimo che li ha segnati o si perdono in un eterno abbraccio. Dall’altra parte si trova ancora un’ultima anima: Maria, la sorella più grande, quella che nella vita avrebbe voluto fare la ballerina. E’ il suo funerale. La scoperta della sua morte si trasforma in urlo muto e poi in danza. Balla nuda, Maria, senza il peso delle vesti che appartengono oramai ad un’altra vita e la sua danza, unita alla forme scarne del corpo, crea un finale di rara bellezza.
Il buio inghiottisce tutti, si rimangia i colori, e i costumi sgargianti delle sorelle Macaluso al mare non sono che un vago ricordo. Presente e passato, vivi e morti si sono incontrati per sessanta minuti, si sono fusi, si sono esorcizzati a vicenda; hanno riso, pianto, hanno avuto paura, ci hanno dato tutto quello che il teatro può dare in un lasso di tempo limitato. Nella poltrona accanto una signora di mezza età, non applaude, ascolta il marito che cerca invano di spiegarle cosa è accaduto su quel palco. La donna continua a ondeggiare la testa per dichiarare il suo dissenso, dice di non aver capito chi fossero realmente i personaggi. La ascolto per qualche minuto, le sorrido e, sazia, mi perdo. Nel buio.
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- Titolo originale: Le sorelle Macaluso