Teatro Magro – Senza niente 3
Al Teatro Studio Uno di Roma sono andati in scena il terzo e il quarto capitolo della tetralogia “Senza niente” di Teatro Magro. Il terzo, “L’amministratore”, è il monologo interpretato da Andrea Caprini.
“L’opera nasce per arricchire gli altri, non per generare capitale”, afferma sconsolato l’amministratore in camicia e cravatta, protagonista del terzo capitolo della tetralogia Senza niente. Un teatro “magro” proprio come il nome della compagnia che lo propone e che, senza artifizi scenici, mette in scena la crisi della cultura e di chi fa parte del meraviglioso mondo dell’arte.
Il palco che ospita il monologo di Andrea Caprini è vuoto. È solo con i suoi conti, con le sue turbe, con le sue ansie e lotta tra termini bancari e finanziari, improvvisandosi un karateka. Una scelta appropriata, quella di renderlo l’unico oggetto e soggetto sulla scena, proprio per arrivare ad esprimere quello sconforto che può coinvolgere chi si trova a dover fare letteralmente i conti con qualcosa che non dovrebbe essere “economizzato”, ma che la condizione attuale obbliga a rendere un bene come gli altri. L’arte è economia e l’artista è parte del pacchetto che è venduto a un pubblico avvezzo allo show.
Ecco, allora, che dietro alla macchietta dell’amministratore, che Caprini incarna con estrema aderenza a quello che potrebbe essere lo stereotipo di una figura del genere, emerge l’attore che arranca, che conosce le difficoltà del suo mestiere, che subisce le difficoltà dell’economia senza trarne i vantaggi e che vede la sua passione ridursi a un nome su pile di fogli da firmare.
Eppure, per sopravvivere in quella che oggi chiamiamo “impresa culturale”, è necessario parlare di economia, di pagamenti, di stipendi, di spese. È essenziale tentare di risparmiare per guadagnare, per non far morire l’arte che ha bisogno di custodi, di qualcuno che continui a crederci, che prosegua nel proteggerla.
Perché l’arte è indifesa, è una creatura che va preservata e aiutata, affinché possa crescere e continuare a produrre opere indelebili come in quel passato in cui l’arte era per l’arte e non per l’economia.