Carmen Giordano – Il deserto dei Tartari
Il deserto dei tartari di Buzzati rivive nella messa in scena firmata da Carmen Giordano, regista conosciuta per i suoi lavori con Macelleria Ettore.
Non c’è luce in sala. Nel buio si incomincia a percepire un senso d’inquietudine, poi una piccola luce illumina il palcoscenico: un lume da tavolo subito spento di nuovo. Più volte la luce spazza via l’oscurità e ad ogni nuova visione il tenente Dogo è davanti a noi immobile, intento a rivivere la sua storia. Il deserto dei Tartari è un viaggio attraverso le pagine del romanzo di Dino Buzzati, recitato ad una voce sola, quella di Woody Neri, che tenta di restituirci le speranze, i dubbi, le frustrazioni di un uomo in attesa. Sul palcoscenico tre lampade da tavolo posizionate ad uguale distanza. Il nero delle pareti e l’assenza di porte sembrano ricreare quella sensazione di trappola della fortezza Bastiani. Al tenente Dogo è stata data come destinazione una fortezza sperduta, al confine con il regno del nord. Il suo valore strategico è ormai nullo. Centinaia di uomini si trovano lì da anni, divorati dall’abitudine, dall’assenza dei piaceri della vita, lontani dalla città sembrano essersi dimenticati che esista qualcosa di altro da quelle mura. Ad inchiodarli a quel luogo la speranza di dargli un senso combattendo contro il fantomatico esercito dei Tartari, una leggenda a cui però gli uomini della fortezza sentono il bisogno di credere. Dogo vi giunge ancora ragazzo e subito viene assalito da un desiderio di scappare via. Il comandante lo tranquillizza: il tenente è libero di andarsene in qualsiasi momento ma, sotto la pressione del suo superiore, decide di aspettare quattro mesi, fino alla prossima visita medica che potrà diagnosticargli un presunto malessere fisico. Ma ciò non accade. Anche Drogo viene risucchiato dalla maledizione della fortezza che imprigiona i suoi soldati con vane promesse di gloria. Rinuncia alla partenza, i mesi diventano così anni, si alternano le stagioni, i corvi nidificano e le rondini se ne vanno, la giovinezza si consuma nelle mura senza vita, ogni presentimento è un allarme, ogni presenza avvistata oltre il deserto diventa un sicuro attacco nemico. Una rinuncia a tutto ma “per chi? Per quale misterioso bene?”
Un vortice lo ha risucchiato fino a far scattare dentro di lui un cortocircuito dal quale non si può più scappare, non si può più tornare indietro.
Il Deserto dei Tartari è un romanzo sulla dimensione del tempo che la regista Carmen Giordano sembra voler scandire attraverso il click dell’interruttore della luce, i continui bui e cambi di posizione. Sono questi gli unici elementi scenici che tengono sveglia la nostra attenzione, quasi un richiamo all’ascolto: la vista si annebbia, la mente fa fatica a non distrarsi. Il romanzo è stato sventrato e poi ricomposto in modo da creare una certa unità di sintesi che nulla tralascia della versione originale ma che non riesce a ricreare le atmosfere evocate dalla parola scritta e finisce per cadere nel vano senso di un’operazione non riuscita.
Lo spettacolo è stato messo in piedi dal team Macelleria Ettore_teatro al kg, interessante realtà nel panorama del teatro d’avanguardia che abbiamo avuto il piacere di intervistare in occasione del debutto di un’altra loro performance, Elektrika, ma non porta la firma della compagnia bensì quella di TrentoSpettacoli dal quale è stato appoggiato e prodotto.
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- Titolo originale: Il deserto dei Tartari