Claudia Castellucci – La seconda Neanderthal
La compagnia di danza Mòra della Socìetas Raffaello Sanzio, guidata da Claudia Castellucci, ha presentato a Roma il suo nuovo spettacolo “La seconda Neanderthal”.
Nel 1913, Le Sacre du Printemps di Nijinskij diventò subito un pilastro della storia della danza. All’epoca sinonimo di rivoluzione, novità, energia vitale, il ballet russe musicato da Stravinskij è oggi il più amato dei nostri giorni. Amato non solo dal pubblico, ma anche e soprattutto dai coreografi, attratti in particolare dalla sua musica violenta, ritmica, selvaggia, e per lei continuano, ancora a distanza di un secolo, a elaborare creazioni più o meno originali. La seconda Neanderthal di Claudia Castellucci è una di queste, ma ispirata in maniera del tutto particolare. Con la Mòra, compagnia di ballo della Socìetas Raffaello Sanzio, e in collaborazione con il compositore americano Scott Gibbons, la coreografa ha ideato un lavoro totalmente autonomo da Le Sacre originale, da cui mutua solo un’atmosfera di sospensione temporale, solo vagamente, “rituale”.
Se si aspetta di vedere qualcosa che porti la stessa ventata di novità, però, si sbaglia. Anzi, da un punto di vista del medium, sembra si faccia qualche passo indietro. Numerose le ragioni: la scelta di utilizzare danzatori di formazione classica (sebbene non sempre emerga dai loro movimenti d’assieme pulizia e perfetta sincronia); un uso alquanto tradizionale dello spazio, che viene agito in maniera per lo più simmetrica (fatta eccezione per il modo in cui i danzatori si muovono entro i confini di una tavolozza disegnata a terra, che sostituisce la figura circolare ricorrente ne Le Sacre); la presenza di un personaggio gerarchicamente superiore al resto del gruppo, diverso sia visivamente sia per un uso maggiore della gestualità (all’inizio lo vediamo camminare in scena da solo, con l’aria di un uomo che muove per primo i passi su un territorio deserto e sconosciuto).
Vero è che la coreografa ha deciso di prendere le distanze dalla sua fonte d’ispirazione, ma sembra legittimo, se non inevitabile, cercare il confronto con un’opera di quello spessore. Che tutto il lavoro della coreografa sia consistito nello sventramento de Le Sacre du Printemps? A ben vedere, no: un ricordo abbastanza nitido è riposto nella partitura sonora di Gibbons, che anche nella sua veste elettronica e dal gusto contemporaneo conserva intatto il ritmo potente e selvaggio di Stravinskij, e tutto sommato si sposa bene con la scenografia minimalista del fondale. Proprio la scenografia risulta l’elemento forte dello spettacolo: una figura di un colore ocra pallido stampata sul fondale sembra alludere a un sole che sorge su un Nuovo Mondo, quello dell’arte, evocato da una tavolozza vuota, dipinta sull’asse orizzontale della scena; una tavolozza priva della sua materia prima, i “colori”, indispensabili per dipingere il mondo e dare luce a una nuova Era. Viene da dire, però, che qui più che i “colori” mancano le idee o, forse, queste non sono emerse abbastanza in superficie; perché il senso di alcune scelte, soprattutto mimico-gestuali, rimane avvolto nell’oscurità.
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- Titolo originale: La seconda Neanderthal