Arti Performative

Constanza Macras – Here/After

Renata Savo

La strana idea di agorafobia di Constanza Macras

Agorafobia: paura degli spazi aperti. Paura dell’esterno e di muoversi oltre i confini dell’ignoto. Agorafobica è un’intera generazione. Quella che sta crescendo chiusa dentro le mura domestiche, dove non occorre altro per sopravvivere: cibo, affetto, lavoro, svago.

Constanza Macras, coreografa dalle due anime, berlinese e argentina, tenta di mostrare al pubblico i disturbi dell’agorafobia in uno spazio in cui interno ed esterno, intimo e pubblico, si confondono sin dai primi minuti. All’inizio, infatti, una ragazza nuda e tremante fa il suo ingresso con una borsa in spalla – oggetto senza il quale una donna non uscirebbe mai di casa – da cui estrapola e maneggia a fatica trucco e borotalco. La stessa dialettica domina l’intera scenografia: a sinistra del palcoscenico è collocato un enorme acquario, dove non vivono pesci ma, come un vegetale, un’altra donna ha insediato la sua vuota esistenza ed è qui, all’interno di uno spazio claustrofobico ma paradossalmente rassicurante, che costruisce il suo confortevole habitat “innaturale” dal quale può comunicare tranquillamente usando Skype.

E’ proprio quest’ambiguità scenica a creare un po’ di scompiglio. Si fa fatica, infatti, ad accettare che lo spettacolo abbia preso forma dal tema dell’agorafobia, quando i due terzi del palcoscenico sono occupati da una piattaforma girevole su cui giacciono un tavolino e un divanetto; spazio che non si riesce bene a identificare come un salotto di una casa, ma piuttosto come l’esterno di un bar. Anche uno schermo in alto a sinistra diventa un colpo nell’occhio, quando la sua funzione cede nel banale decorativismo. Elemento funzionale, invece, è una porta dotata di rotelle che i performer spostano per assecondare le entrate e le uscite dei personaggi, direttamente alle spalle del palcoscenico; essa dovrebbe simboleggiare uno spazio liminare tra due ambienti, funzione, però, non sorretta da un solido impianto drammaturgico. Tuttavia, affascina il modo in cui lo spazio viene agito dai performer i quali, diversamente da ogni aspettativa (proviamo a immaginare un soggetto in preda a un attacco di panico…), sanno muoversi con destrezza su ogni metro cubo della superficie scenica rotante.

Degne di nota sono le scene in cui elementi comici e grotteschi celano noia e angoscia interiore, dove si percepisce lo scarto tra la volontà dei personaggi di restare chiusi nel proprio mondo e la difficoltà di ammettere la sofferenza – come realmente avviene nei soggetti agorafobici – per una malattia che impedisce di uscire all’aria aperta (ma sarebbe riduttivo pensare che l’agorafobia sia soltanto questo). E’ attraverso il distacco comico che la drammaticità dell’agorafobia emerge con più forza; nelle scene in cui diventa chiaro che la vita reale può addolcirsi solo viaggiando tra le maglie del ricordo.



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