The Birth of a Nation
Son valsi la pena i sette anni di lavorazione per The Birth of a Nation di Nate Parker, un esordio da non perdere di vista.
È stato forse il caso dell’anno negli Stati Uniti, a cominciare dalla world premiere al Sundance questo gennaio, accolta da standing ovation e tripudio di pubblico e critica.
Da lì si è scatenata una vera e propria asta per comprare i diritti nazionali (quindi per la distribuzione negli USA) del film, che ha visto colossi come i Weinstein e Netflix scendere in campo per acquisire il titolo.
Alla fine a spuntarla è stata Fox Searchlight, che ha battuto il record di spesa per l’acquisto dei diritti di un film al Sundance, spendendo 17,5 milioni di dollari. Si capisce quindi con che aspettative arriva alla Festa di Roma, dopo tanto parlare, The Birth of a Nation.
Il film ha richiesto sette anni di lavoro al regista Nate Parker, che esordisce dietro la macchina da presa dopo una carriera di attore a discreti livelli (lo ricordiamo in Red Hook Summer di Spike Lee, La frode o ancora Niente santi in paradiso) e si vede come il film pulsi proprio della sua volontà di realizzare un film sulla rivolta degli schiavi di colore nel 1834 guidata da Nat Turner.
Parker interpreta quest’ultimo, scrive la sceneggiatura e la dirige, mostrando una necessità da parte sua di raccontare questa storia. A 100 anni e spicci dall’omonimo film di David Wark Griffith, che tanto aveva provocato reazioni per il suo essere fondamentalmente pieno di immagini razziste (e Griffith lo era, in fondo, senza nulla togliere alla grandezza delle opere che ha realizzato), nel film di Parker il discorso si basa proprio sul purificare il medium cinematografico trattando le persone di colore con l’onestà che necessitano, e su questo già 12 anni schiavo aveva fatto una breccia.
Parker sicuramente racconta la storia in modo molto più convenzionale rispetto al film di McQueen, ma dal punto di vista del messaggio forse The Birth of a Nation sposta l’asticella ancora oltre, diventando quasi una riflessione “teologica” nel suo essere terribilmente brutale. L’assunto di Parker è che, quando si parla di schiavitù, sono molto pochi i bianchi che possono considerarsi innocenti, e per questo la ribellione di Turner si mostra estremamente brutale nel suo svolgimento.
Il pregio del film di Parker è quello di non mostrare due fazioni distinte, quella dei buoni e quella dei cattivi, per cui diventa naturale tifare per uno o per l’altro, ma si concentra sulle facce, mettendole a confronto tra di loro e dandole umanità, in un qualche modo rendendo il dramma ancora più vivo ed umano.
La fotografia di Elliot Davis è ben fatta, e in particolare su questo aspetto si segnalano le riprese notturne, mentre una nota di merito va anche alla colonna sonora di Henry Jackman, molto varia e basata su diverse tradizioni musicali del tempo.
Certo, l’inesperienza del regista si fa sentire, soprattutto nel dirigere il resto del cast, non all’altezza e a volte ineffettivo; in più a volte il film perde dei colpi e ritmo, ristagnando in se stesso. Rimane però un esordio assolutamente dignitoso, da premiare per la grande necessità e forza con cui è stato portato in scena.
Dettagli
- Titolo originale: The Birth of a Nation
- Regia: Nate Parker
- Anno di Uscita: 2016
- Genere: Storico
- Fotografia: Elliott Davis
- Musiche: Henry Jackman
- Costumi: Francine Jamison-Tanchuck
- Produzione: Canada, USA
- Cast: Nate Parker, Armie Hammer, Penelope Ann Miller, Jackie Earle Haley, Mark Boone Junior, Aunjanue Ellis
- Sceneggiatura: Nate Parker