Shakespeare400. Romeo e Giulietta: L’amore verso morte
Da West Side Story del duo Robbins/Wise, passando per Romeo e Giulietta di Zeffirelli fino a Romeo + Juliet di Luhrmann, la morte degli amanti di Verona secondo il cinema.
“E così Mab galoppa, notte dopo notte, dentro i cervelli degli amanti, ed essi sognano d’amore, o sulle ginocchia dei cortigiani che allora sognano inchini e cerimonie o sulle dita dei legali che allora sognano compensi, o sulle labbra di donne che allora sognano baci […]”.
Queen Mab è diventata una leggenda, il monologo di Mercuzio, nonché il personaggio dietro il quale potremmo persino giocare a vederci l’alter ego di William Shakespeare, desiderato smisuratamente da ogni attore che si trovi ad addentrarsi in una delle opere più amate e note del bardo.
A 400 anni dalla sua morte, Shakespeare porta dietro di sé un fascino sempre attuale e anche un certo alone di mistero, se pensiamo che ancora oggi la sua identità è ridotta a tessere di un mosaico inappropriate a darne un volto letterario e umano preciso.
La storia dei due amanti di Verona è ben nota a tutti: l’astio tra le famiglie dei Capuleti e Montecchi, le cui origini, almeno per quanto riguarda una strutturazione più vicina a quella che vi avrebbe dato il drammaturgo inglese, vanno rintracciate nell’antica novella Mariotto e Ganozza di Masuccio Salernitano.
In Romeo e Giulietta di Shakespeare, scritta tra il 1594 e il 1596, troviamo davvero molti dei motivi ispiratori del teatro di Shakespeare: una tragedia a cui non mancano battute di spirito che snelliscono il dramma, l’amore, i sogni, il coraggio, l’avidità ma soprattutto la cecità umana. Sì, perché Romeo e Giulietta per la sua grandezza e ricchezza di contenuto, merita di ricevere una lettura ben più matura della storiella di due ragazzi innamorati, ostacolati da famiglie capricciose. È infatti a dir poco scandaloso che negli ultimi tempi le scene del musical abbiano ridotto un’opera di tale portata a uno slogan da cioccolatino come “Ama e cambia il mondo”.
Per fortuna il cinema ha saputo ben omaggiare e mettersi in gioco per cercare di raccontare attraverso il suo linguaggio i punti luce più nascosti e segreti, le tracce silenziose che Shakespeare atto dopo atto ha saputo lasciare perché i posteri si cimentassero a (ri)creare le fila della trama, ma anche delle scene più incisive. Percezioni diverse infatti arrivano dal cinema e da tre registi in particolare nel riprodurre sul grande schermo la scena della morte dei due innamorati.
A volerne dare per primi un’ottica più attuale, vicina all’epoca e al servizio naturalmente dell’industria hollywoodiana sono stati Jerome Robbins e Robert Wise, che hanno trasformato un musical di grande successo come West Side Story nell’omonimo film. Alla rivalità Montecchi/Capuleti si sostituisce quella tra i portoricani Sharks e gli anglosassoni newyorkesi Jets che ostacolano l’amore tra Tony e Maria che si confessano il loro amore proibito tra le strade di Manhattan. La coppia Robbins/Jerome ripropone con rispetto e dignità la scena in cui Maria vede Tony morire tra le sue braccia: ci si sarebbe aspettati un pezzo finale essendo in ambientazione da musical, ma invece al canto accennato in una timida e breve melodia a cappella si sostituiscono le parole e un necessario lieto fine – non dimentichiamoci che siamo in pieno cinema classico – che però convince. La morte di Tony/Romeo è il triste epilogo a cui un immotivato conflitto di razza può portare e Maria/Giulietta piuttosto che morire resta in piedi, vendica con lo sguardo l’amato e dalla sua morte fa nascere la pace tra le bande. Una vera e propria ricreazione e nuova visione della tragedia shakespeariana che risponde alle esigenze di un’epoca non solo cinematograficamente parlando, ma anche a livello politico e sociale.
Più vicine invece alla struttura dell’ultimo atto e al momento della morte di Romeo e Giulietta, sono le pellicole cinematografiche Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli nel 1968 e Romeo + Juliet di Baz Luhrmann nel 1996. Fedelissimo al testo il regista australiano – portò a casa due premi Oscar – segue passo dopo passo la scrittura shakespeariana rispettando la presenza di tutti i personaggi e gli eventi che si susseguono prima che Romeo e Giulietta decidano di togliersi la vita.
Zeffirelli lo si potrebbe quasi definire “schiavo del classico”, se pensiamo invece che Luhrmann trasforma il momento della morte dei due non in un evento necessario e voluto da un destino già segnato, ma in un momento intimo. Tutti gli eventi infatti – come l’arrivo di Frate Lorenzo e delle guardie – avvengono prima che Romeo creda di aver perso per sempre Giulietta: e così restano loro soli, avvolti da una miriade di candele per un incontro che si trasforma in un addio. Zeffirelli invece, come da copione, lascia che Giulietta si incontri con Frate Lorenzo, senta fuori i rumori e decida di morire dopo aver visto Romeo morto: è l’ineluttabilità del destino, spogliata di qualsivoglia deus ex machina. I fotogrammi infatti sono brevi ed intensi: la vita continua a scorrere, c’è poco tempo persino per l’addio.
Luhrmann invece usa al massimo le possibilità espressive del cinema: amplifica la scena, lascia che il mondo si fermi dinanzi all’amore di due innamorati vittime del capriccio umano più che del destino, ma soprattutto lascia che Giulietta veda Romeo nel momento in cui sta per morire – un po’ sulla scia di West Side Story – e poterlo guardare negli occhi un’ultima volta. Poi Giulietta prende il pugnale, e i due adolescenti si fanno adulti: un momento straziante, trasformato in uno dei più sublimi della storia del cinema.