In Sala. Il labirinto del silenzio
A pochi giorni dalla giornata della memoria Giulio Ricciarelli firma un thriller documentario che scava con rispetto e misura nei meandri di uno dei capitoli più duri della storia.
Joahnn Radmann (Alexander Fehling) è un giovane avvocato di principi sani e soprattutto giusti: meticoloso, ordinato e pronto ad applicare sempre la legge con scrupolosità, un giorno viene colpito dall’arrivo in procura di un uomo (André Szymanski) che chiede l’arresto di un ex nazista, insegnante in una scuola. Il caso lo colpisce: da quel momento Radmann entra in un vortice senza fine di ricordi e pezzi di storia dolorosi a lui troppo poco noti, che la Germania del tempo preferisce lasciare prendano polvere.
Il labirinto del silenzio entra nella galleria di quei film che cercano di fare luce o quanto meno darci un ritratto del clima che si respirava dopo la svolta del Processo di Norimberga: Giulio Ricciarelli non è il primo regista che cerca di fare ordine, capire come gli uomini guardassero alla vita dopo aver fatto e attraversato tutto il male possibile, ma forse è uno dei primi a voler offrici una pellicola che senza trarre forzatamente conclusioni, vuole guardare alla Germania meno calcata sullo schermo. Quella che si appropria della prima ondata di benessere degli anni Sessanta – il film è ambientato a Francoforte, nel 1958 – e che tra vestiti di lusso, bottiglie di champagne, feste e banchetti di circostanza preferisce sorridere e dimenticare.
La forza del film è nel ricostruire con chiarezza e determinazione, proprio come il giovane Radmann, il contrasto tra chi vuole dimenticare e chi non è stanco di fare giustizia, tra chi resta fedele al senso del dovere concedendosi poche distrazioni e chi invece non ha il coraggio o la voglia di guardare indietro ai proprio fantasmi. Si sposa perfettamente con questo spirito la fredda fotografia e l’accurata scelta dei costumi e delle scenografie, che ci immergono completamente nell’atmosfera frivola ma dall’alone oscuro dell’epoca.
Ricciarelli però si concentra anche sull’aspetto umano: non giudica i personaggi ciechi, ma negli occhi del protagonista lascia intravedere il grande dolore con cui ogni tedesco a quel tempo doveva fare i conti. La dura verità di non poter ignorare che tutti, avessero voluto oppure no, finirono per entrare in un vortice di nebbia e paura. E c’è una scena su tutte in cui Ricciarelli mostra una raffinata sensibilità registica: più che far parlare i testimoni di Auschwitz, ne ferma i volti e gli occhi lasciando che nel loro alternarsi sia la musica a farli parlare.
Dettagli
- Titolo originale: Im Labyrinth des Schweigens
- Regia: Giulio Ricciarelli
- Fotografia: Roman Osin
- Musiche: Sebastian Pille
- Cast: Alexander Fehling, André Szymanski, Friederike Becht, Johannes Krisch, Hansi Jochmann
- Sceneggiatura: Elisabeth Bartel, Giulio Ricciarelli