Cinema

Il meglio del 2012: La Top Ten di Cristina Lucarelli

Cristina Lucarelli

Il meglio di tutto ciò che riguarda il Cinema del 2012 secondo Cristina Lucarelli

Stando a quanto dichiaravano i maya e al “lungo computo” del loro calendario che avrebbe dovuto concludersi il 21 dicembre, oggi non saremmo qui a discernere di cinema e cercare di sintetizzare l’anno appena passato in dieci semplici, organizzati, punti. Invece il mondo non è finito, nessuna apocalisse ha spazzato via l’uomo che, ancora una volta, si trova a stilare il resoconto delle proprie azioni. E siccome tanto parliamo di numeri ed operazioni matematiche, riduciamo tutto in proporzione al nostro interesse: in questo caso il ‘mondo’ è solo quello del cinema, le azioni sono le pellicole che il 2012 ha visto scorrere su tanti schermi d’Italia, le iniziative delle case di distribuzione, il lavoro di registi, attori e ogni cosa ruoti attorno all’immaginifico “spazio cinema”, e noi, piccoli critici, siamo qui a dare giudizi e benestare, a pesare cuori e piume sulla bilancia del nostro gradimento. E sottolineo il nostro, a gusto del tutto personale e soggettivo. Con questo preambolo non voglio mettere le mani avanti a difesa di quanto leggerete, ma che possiate condividerlo o meno, ciò che segue è il sunto di ciò che veramente penso, non solo con la testa, ma anche con il cuore e con la pancia. Non è stato facile cernere tutto il materiale che l’anno appena trascorso ci ha lasciato sotto l’albero, e se nella mia classifica ho dimenticato qualcosa che invece ritenevate degna di menzione, bè, chiedo venia e mi cospargo già il capo di cenere nel seminato di Hollywood. A voi l’ardua sentenza.

10. Redistribuzione di grandi classici: Come già avete avuto modo di leggere tra sezioni del nostro sito, l’anno appena andato via ha lasciato dietro di sé la ri-scoperta dei grandi classici del passato. Prima la Cineteca di Bologna che ha ridistribuito film come Io ti salverò del maestro Hitchcok, Sentieri Selvaggi di John Ford, o i capolavori di Bergman, ed ora la prestigiosa collana di dvd Gli Introvabili, in edicola con il settimanale Ciak. a partire da I Diavoli, la discussa opera di Ken Russell, sequestrata e censurata per vilipendio alla religione, a Cruising di Friedkin, a Chi ha paura di Virginia Woolf? di Mike Nichols. Per apprezzare il presente bisogna conoscere e amare il passato.

9. Pietà: Al dio ‘denaro’ si sacrificano le anime di Pietà, ultimo film di Kim Ki-duk, Leone d’oro a Venezia. E’ una parabola discendente e inarrestabile quella raccontata dal regista coreano: protagonista una madre legata ad un figlio che ormai non gli appartiene più. Il capitale, i vili soldi l’hanno strappato da quell’abbraccio iconico e inconfondibile, la Pietà del Michelangelo, e lei indosserà gli abiti della freddezza per una vendetta calcolata, demoniaca e impietosa. Chi sbaglia non si salva, anzi. La morsa voluttuosa del destino può fagocitare chiunque. Fortemente simbolico, visivamente truculento, Kim scardina il congegno narrativo e offre la sua personale drammaturgia in un pacchetto crudele. Menzione a parte per la superba interpretazione dell’attrice Cho Min-soo. Noblesse oblige.

8. Tendenza del cinema a parlare di sé stesso e delle proprie origini: In un’epoca di pieno sviluppo tecnologico, dove impazza il digitale, dove ci si compiace nell’indossare un paio di occhialini e vivere le storie filmiche con una corporeità mai sperimentata prima, è bello e doveroso anche osservare quanto le origini vengano comunque celebrate e mai dimenticate. Nel 2011 Michel Hazanavicious, con The Artist, tenta d’innovare il linguaggio cinematografico mutuando gli stilemi del passato. Il muto, il bianco e nero e i continui ammiccamenti a pietre miliari come Citizen Kane, Sunset Boulevard o Singin’ in the rain, sono i prodromi su cui il cineasta francese costruisce la sua “avanguardia”. Nel 2012, seppur in maniera differente, il cinema continua a raccontare sé stesso, grazie alla rappresentazione – in Hugo Cabret di Scorsese – di Georges Méliès, l’uomo che secondo Jean-Luc Godard, “aveva trovato l’ordinario nello straordinario”. L’inventore del cinema fantastico torna in auge grazie a Scorsese, come a creare un profondo legame tra ciò che è stato e ciò che è, tra i primordi e l’attualità. Due registi che hanno fatto la storia del cinema uniti dall’amore per esso.

7. Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno: E’ davvero strano per me, solitamente avversa a blockbuster e supereroi, citare in questa lista ben due film ascrivibili alle categorie succitate: Hugo Cabret, di cui ho premiato l’autore, e Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno. Sì, perché grazie a Christopher Nolan e all’intenso Christian Bale, il personaggio della DC Comics, ovvero Batman, ha acquistato finalmente lo spessore che merita. Dopo il dittico burtoniano sull’uomo pipistrello, sovrabbondante di azione irreale e carente di introspezione e caratterizzazione del personaggio, dopo le buffonate di Joel Schumacher, i volti per niente adatti prima dell’imbambolato Michel Keaton e, successivamente, dell’inespressivo Val Kilmer e del gigionesco George Clooney (non me ne vogliano i fan, tengo a specificare che gli aggettivi non propriamente positivi si riferiscono solo alle loro interpretazioni del supereroe giustiziere), ci pensano Nolan e Bale a restituire la dignità al Cavaliere Oscuro. Bellissimo e atletico, malinconico e guascone quando serve, Bale è un perfetto Bruce Wayne, per la prima volta attinente a quanto emerge dal fumetto. Con una fotografia che stupisce e una sceneggiatura positivamente anche un po’ autoreferenziale, se vogliamo, con un’esplosione di emotività e funambolica azione, si conclude l’epico terzo e ultimo  capitolo della saga nolaniana. Alla resa dei conti, Nolan vince il match e resta sempre uno dei miei preferiti.

6. Amour: Chi conosce Michel Haneke sa che il titolo può essere fuorviante, perché se c’è qualcuno che si compiace nel mostrare lucidamente la crudeltà di cui è capace il genere umano, quello è proprio lui. Palma d’oro a Cannes, Amour è una pellicola sulla malattia, il disfacimento e la morte. Quasi un Kammerspielfilm minimalista, Haneke impone allo spettatore un viaggio senza scampo in un territorio abbastanza inesplorato nel mondo del cinema: l’amore alla terza età, quello estremo, quello perturbante. Abnegazione, compassione delicata, ma anche lucido e spietato realismo nello spiare la vita di coppia – e l’oltre – di due anziani. Con freddezza misurata, il regista austriaco firma ancora una volta un altro potente dipinto sulle ragioni del male.

5. Killer Joe e Cogan – Killing them softly: Appaiati a metà classifica il noir di William Friedkin e il gangster movie di Andrew Dominik. Il primo, tratto da una pièce teatrale di Tracy Letts (anche sceneggiatore del film) parte da una premessa elementare, come l’omicidio per denaro, per poi contorcersi in un plot dannatamente nero, perverso e senza catarsi finale. Sardonico e sadico, nichilista e spigoloso, Killer Joe è destinato a divenire un cult, alla faccia di chi dava il cineasta di Chicago bello che andato. Imprevedibile e imperdibile. Ripescando certa letteratura pulp degli anni andati, contestualizzandola in un presente cupo e ancora un volta post-moderno, arrivano i fascinosi gangster di Cogan – killing them softly. Dominik sfoggia una regia impeccabile e divertente, condita da esplosioni di violenza, turpiloquio e ironiche digressioni. Sfacciato e guascone, semplicemente da gustare.

4. Joaquin Phoenix e Javier Bardem: Sbalorditivo interprete nel film The Master di Paul Thomas Anderson, Joaquin Phoenix entra in piena regola nell’Olimpo degli Dei, ma la deliziosa ambrosia è tutta nostra vedendolo all’opera. Pari merito con il cattivissimo Javier Bardem: grazie a lui Skyfall di Sam Mendes spunta la mia sufficienza abbondante. Superbo il primo, meravigliosamente poliedrico il secondo.

3. Holy Motors: Bronzo per il francese Leos Carax, vincitore morale del Festival di Cannes. Pellicola che ci parla e ci corrompe con un linguaggio post-moderno, Holy Motors mette in immagini la liquidità dell’ ”io”, la decostruzione di una vita e di un racconto guardati attraverso il filtro sfaccettato di un prisma. Se il caos è la logica da seguire pedissequamente, Carax ci immerge a 360° nelle vite di Denis Lavant/Oscar e ci impedisce di distinguere le trasformazioni, i camuffamenti, dalla realtà diegetica. Squisitamente ambiguo.

2. Cosmopolis: Secondo posto per il lungometraggio Cosmopolis, dove il cine-occhio di David Cronenberg esplora, sviscera e mette in scena, con perversa ossessione, l’omonimo romanzo dell’italo americano Don De Lillo. Smessi gli abiti del pallido vampiro di Twilight, Robert Pattinson inventa finalmente “un” sé stesso interessante: il giovane miliardario Eric Packer in viaggio in limousine verso l’inferno. Ma gli inferi non prevedono diavoli rossi e forconi, bensì il dispositivo dell’autodistruzione, il desiderio anaffettivo, la vivisezione della corporeità. Un ritratto deformante e deturpato di un’anima dannata e senza identità, paradossalmente portato in immagini grazie ad un elucubrato gioco di corpi. Cronenberg colpisce ancora.

1. Martin Scorsese: Apre la classifica a pieno punteggio il buon vecchio maestro Scorsese. Martin non si smentisce (quasi) mai e l’oro va a lui, con l’ultima fatica Hugo Cabret. Stavolta non ci sono i nostri amati gangster di Little Italy, non ci sono tassisti sociopatici, ma solo una storia che per quanto meravigliosa avrebbe potuto rivelarsi melensa e prolissa nelle mani sbagliate. Tratto dal romanzo La straordinaria invenzione di Hugo Cabret di Brian Selznick, Scorsese riprende la magica storia dell’orfanello che vive nella Parigi degli anni ’30 e incontra Georges Méliès, uno degli inventori del cinema, e la forgia in un film memorabile. Scorsese mette così in scena, con la solita onestà intellettuale, la propria passione per la settima arte e ce la regala, persino in 3D, con il sorriso dolce di Ben Kingsley. In una confezione sì commerciale, ma mai stucchevole, il cineasta cambia ancora volto alla propria estetica senza che il risultato ne risenta: montaggio cadenzato, immagini malinconiche e sognanti, Hugo Cabret ti resta dentro. Come un incorreggibile dongiovanni, Scorsese conquista e riconquista sempre con metodi diversi. Intramontabile. 



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