Marta Cuscunà // “Earthbound”
Uno spettacolo di forte ispirazione eco-femminista, liberamente ispirato al saggio Staying with the Trouble di Donna Haraway. Quattro creature animatroniche progettate da Paola Villani, riprese dalle opere dell’artista australiana Patricia Piccinini, una sola attrice, nonché regista, che “abita” una scenografia visuale d’impatto, per 65 minuti di monologo. Una vera e propria performance immersiva, Earthbound – ovvero le storie delle Camille, andato in scena a Milano al Piccolo Teatro Strehler dal 27 al 30 aprile, e di cui Marta Cuscunà è unica e assoluta protagonista, scandisce i tempi, le battute, le pause e i silenzi, in un complesso recitativo in cui un solo interprete vale per dieci.
Lo spettatore si trova davanti un’imponente struttura metallica: una scenografia rotante, azionata e manovrata solo dalla forza umana e non da energie meccaniche. Quando questa, girandosi, rivela i suoi abitanti, per un attimo il pubblico rimane senza fiato.
Gli Earthbound, appartenenti alla comunità delle Camille, sono umani a cui sono stati impiantati geni di creature in via d’estinzione al fine di conservarne la specie. Nella loro società la riproduzione è un gesto collettivo, una decisione condivisa, rara e ponderata «fate legami, non bambini», questo è il principio etico che accompagna la politica di contenimento delle nascite, di cui l’uomo ha sempre abusato. L’idea alla base di questa politica è quella di sostituire i legami di sangue con i legami di “cura”, motivo per cui ogni individuo in questa società possiede almeno tre genitori.
Lo spettatore è chiamato in causa direttamente, la quarta parete viene rotta: i personaggi ci vedono, si accorgono della nostra presenza, ci prendono in giro, non hanno mai visto così tanti umani intenti in «fallaci attività di comunità».
Assistiamo al momento in cui, dopo decenni, quarantuno anni per la precisione, le Camille decidono che è giunto il momento di procreare: ci si accorda su un donatore, una gestante e con fatica si prova ad innescare questo processo quasi sacro. La narrazione distopica diviene via via sempre più nitida, è scandita dalla presenza di un’intelligenza artificiale, Gaia, interpretata sempre dalla regista, che collega le creature animatroniche a un dispositivo centrale di sussistenza e vita. Si attiva ad ogni richiesta degli Earthbound, in lei scopriamo un deciso desiderio di riprodursi, in una continua connessione con la natura e i suoi molteplici legami, rapporti simbiotici.
Il monologo fantascientifico a “cinque voci” della Cuscunà ci invita a pensare, a riflettere, ad approcciare alla realtà con una chiave di lettura alternativa. È un piacere da ascoltare, da vedere e da capire.
La tradizione del teatro di figura si fonde con le tecniche di animazione più innovative servendosi di una retorica efficace, scaltra ed evocativa. Si esce dallo spettacolo con più domande che certezze, ma è giusto così, è giusto interrogarsi, stuzzicare il pensiero critico. E se, come dice Donna Haraway, «Le storie fanno i mondi. I mondi fanno le storie», Earthbound è uno dei racconti possibili del nuovo mondo infetto in cui potremmo trovarci a vivere domani.
[Immagine di copertina: foto di Daniele Borghello]