“In viaggio verso Eutopia”. Intervista agli Instabili Vaganti, ‘beyond borders’ nella post-pandemia
Dopo Lockdown Memories, in cui Nicola Pianzola e Anna Dora Dorno, in arte Instabili Vaganti, salivano sul palcoscenico accompagnati in video dalla ricerca di artisti di tutto il mondo bloccati dal lockdown e dalle situazioni storiche, politiche e sociali contingenti, è arrivato per loro il momento di tornare a lavorare dal vivo. La compagnia internazionale di base in Emilia lo fa sviluppando il progetto internazionale Beyond Borders. Si radunano, così, dal vivo gli artisti che avevano affiancato Anna Dora e Nicola virtualmente durante i momenti più bui della pandemia. Gli Insabili Vaganti, infatti, sono stati insieme ad altri artisti internazionali in residenza dal 21 al 30 luglio a L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, in Romagna, per lavorare sul concetto di spazio per un “buon contagio”, Theatre as a space for “good contagion“. Le giornate hanno portato alla presentazione di uno studio finale aperto al pubblico al quale hanno appunto partecipato i performer provenienti da diverse parti del mondo il 29 luglio.
Il progetto, ideato e diretto dalla compagnia in collaborazione con L’arboreto – Teatro Dimora, ATER Fondazione e La MaMa Umbria International, vincitore del Bando Boarding Pass Plus 2021-22 del MiC – Ministero della Cultura, è finalizzato alla realizzazione di percorsi di co-creazione e co-produzione teatrale e multidisciplinare, in grado di superare le nuove barriere imposte dalla pandemia e favorire la ripartenza dei processi di lavoro artistico a carattere internazionale.
Di questo e altro abbiamo parlato con gli Instabili Vaganti, che saranno oggi 8 agosto anche al festival maremmano Teatro nel Bicchiere, presso il Teatro Castagnoli di Scansano (GR), ore 21.15, dove presenteranno lo spettacolo tout public, in prima assoluta, In viaggio verso Eutopia, pensato per un pubblico internazionale. La regia è di Anna Dora Dorno, la drammaturgia di Nicola Pianzola e Jordi Pérez i Soldevila (Spagna). Le musiche originali sono di Riccardo Nanni, mentre in scena ci sono, oltre a Nicola Pianzola, Cecilia Seaward (USA), Yuki Kawahisa (Giappone), Samba Thiame, Abdoulaye Ndiaye (Senegal), Efi Kitsanta (Grecia).
Cos’è un “buon contagio”, o almeno, visto che si tratta di teatro, come ve lo immaginate?
A Space for a Good Contagion è il titolo che abbiamo dato a questa fase del progetto, che abbiamo affrontato presso L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino e a Teatro nel Bicchiere. Abbiamo deciso di dare questo titolo perché queste tappe in Italia radunano gli artisti che abbiamo incontrato durante le altre tappe del progetto Beyond Borders all’estero, e in particolare in Senegal, in Tunisia e negli USA. Li abbiamo radunati in presenza ma in alcuni casi purtroppo o per fortuna li abbiamo radunati a distanza, perché non sono riusciti a ottenere il visto per questa tappa. Non sono riusciti fisicamente a oltrepassare i confini dei loro paesi, ma sono stati con noi virtualmente, ci hanno inviato materiali che ci hanno “contagiato”, che hanno innescato una serie di suggestioni anche in chi condivideva il lavoro qui in presenza. Per cui, nel testo finale che è nato in questo primo work in progress di In viaggio verso Eutopia, c’è una sorta di lettera dedicata a uno degli artisti, Mouayed Ghazouani, dalla Tunisia, che non è riuscito a venire e ci ha inviato un video della sua danza. Quindi, dato che sono stato molto dispiaciuto del fatto che non potesse essere con noi, l’ho ringraziato perché con la sua danza è riuscito a contagiarci tutti. Questo accade quando come artisti riusciamo a creare un luogo buono, di condivisione artistica. Questo diventa uno spazio per un buon contagio.
Beyond Borders è stato in grado di superare le barriere imposte dalla pandemia e di favorire la ripartenza dei processi di lavoro artistico a carattere internazionale. Il presente ci chiama anche all’essere ecosostenibili, è un aspetto che state affrontando, quindi, nel vostro lavoro sempre teso a spostarsi “oltre i confini”?
Quando abbiamo scritto un’introduzione poetica, un primo pensiero per In viaggio verso Eutopia, abbiamo pensato «ma dov’è Eutopia? Nei nostri pensieri, nelle nostre intenzioni, nel nostro fare artistico, nella volontà di cambiare quello che non va più bene, nella volontà di trovare un’armonia con gli altri, con la natura, con noi stessi». Il lockdown ci ha fatto riscoprire il ritmo lento della natura e durante tutto il progetto Beyond Borders è diventato importante l’ascolto dello spazio in cui operiamo come artisti, perché condiziona fortemente il nostro lavoro, che si arricchisce. Mentre siamo stati in residenza a L’Arboreto siamo stati a contatto con la natura che circonda il luogo, e quindi il silenzio, i suoni della natura, hanno accompagnato lo svolgimento di alcune parti del workshop nel bosco. Un canto che si accorda e si intona con i suoni stessi dalla natura. Ma anche nelle parti precedenti, abbiamo sempre operato la scelta di incontrare gli spazi naturali, molto suggestivi, come le spiagge nella periferia di Dakar in Senegal, dove abbiamo filmato delle video-performance. Devo dire che soprattutto il mezzo filmico, che dall’inizio è stato presente in questo progetto, ci ha legato ancora di più agli spazi naturali, proprio perché diventavano il palcoscenico delle azioni performative realizzate: è un elemento che è rimasto nel progetto, e anzi crediamo che la sua anima sia quella di creare uno spazio di condivisione, non solo tra noi come artisti, esseri umani, ma soprattutto tra noi e l’ambiente che ci circonda. In questo senso non so se definire Beyond Borders un progetto ecosostenibile. Sicuramente è un progetto teso a ristabilire un’armonia con la natura e con l’ambiente circostante.
Cos’ha aggiunto al progetto la residenza presso L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino?
La residenza a L’Arboreto – Teatro Dimora sicuramente è stata una tappa fondamentale di questo progetto, è per certi versi il punto di arrivo di tutto il lavoro fatto nelle diverse tappe all’estero, ma anche un punto di partenza, perché ha rappresentato il primo step di lavoro qui in Italia, ma soprattutto il primo step trascorso tutti insieme. In questi sei giorni che abbiamo passato immersi nell’ambiente dell’Arboreto siamo riusciti a creare quella che chiamiamo Eutopia, un luogo buono, di scambio, di confronto, nel quale le culture si mescolano senza sopraffazione, in perfetto equilibrio e accordo, in cui si parlano diverse lingue e in cui tutti sono benvenuti. Ci sono state delle estreme aperture che abbiamo avuto con altri artisti locali ma anche con la comunità del territorio, o con giovani studenti e artisti che sono venuti da diverse parti d’Italia per prendere parte al workshop. Per questo possiamo dire che per noi questo è stato il momento culminante del progetto, di tutto quello che abbiamo fatto, non solo in questo anno e mezzo, in cui il progetto si è allargato e si è arricchito di diversi partner grazie al bando Boarding Pass Plus – Multidisciplinare, ma anche di tutto quello che abbiamo svolto in precedenza e quindi quando il progetto è nato, durante il lockdown, con l’assistenza filosofica di Enrico Piergiacomi. Siamo riusciti in questo luogo, immerso nella natura a far sì che si concretizzassero tutti i nostri pensieri e tutte le riflessioni filosofiche precedenti.
Nell’ambito della residenza, avete inoltre tenuto un workshop sulle pratiche performative come forma di attivismo. Che cosa accade in questo tipo di workshop? Come fa l’attivismo a entrare nelle pratiche performative?
Qui all’Arboreto abbiamo tenuto un workshop di due giorni, aperto ai partecipanti ma anche alla comunità che frequenta le attività dell’Arboreto. È chiaro che il tema dei confini e del loro superamento attiva già una riflessione politica, civile, sociale, a livello globale, soprattutto se vi è un confronto culturale così forte. Le diverse culture, da quella africana, a quella nord-americana, a quella orientale a quella europea-mediterranea e a quella nord-europea, riflettono sullo stesso tema: come superare i confini esistenti che abbiamo tracciato, quelli che si stanno formando in questo clima geopolitico pandemico e post-pandemico, e i confini che verranno. Già questo è un atto di artivismo molto forte. In particolare abbiamo voluto fare questo workshop proprio come questo viaggio verso Eutopia, dividendo i partecipanti in gruppi che a rotazione attraversando a volte il bosco incontravano non solo noi come work leader della compagnia, ma anche gli artisti invitati, che potevano condividere con loro un elemento della loro pratica performativa, come per esempio un canto o dei passi di danza. È stato magico il momento in cui tutti i gruppi alla fine si sono ritrovati in un unico palcoscenico, quello del Teatro Dimora, per condividere con noi il processo di lavoro. In questo processo sono emersi tutti i materiali che avevano assorbito. In questa condivisione totale c’è stato un forte atto politico, perché è una presa di posizione molto forte, nella società in cui viviamo, questo volersi incontrare e condividere. E soprattutto sono state forti le riflessioni e i pensieri poetici emersi attorno ai temi del confine. Non è facile e non accade tutti i giorni di ritrovarsi nello stesso spazio a condividere i pensieri su queste tematiche.
Il 29 luglio c’è stata la prova aperta di In viaggio verso Eutopia. Tutor del progetto sono state Anna Maria Monteverdi, Professoressa all’Università degli studi di Milano, Francesca Giuliani, Ricercatrice all’Università d’Urbino, la giornalista e critico teatrale Simona Maria Frigerio. Cosa avviene in questa performance e che cosa ha portato lo sguardo delle tutor?
I tutor sono stati fondamentali in questo progetto. Mi ha colpito che cosa ha detto Anna Maria Monteverdi, che ha visto la prova il giorno precedente la prova aperta e poi quest’ultima: «ho visto due spettacoli diversi, e spero che le riflessioni che abbiamo condiviso con voi come tutor abbiano causato questo. Ho visto nell’arco di un giorno cambiare molto il lavoro, svilupparsi». Noi abbiamo risposto che, certo, questo è stato frutto dell’ascolto che abbiamo condiviso con i tutor. Ricevere suggestioni, spunti e soprattutto, avere lo sguardo esterno che vede quello che tu non stai vedendo perché sei concentrato su altri aspetti, e tutto il gruppo si concentra su quegli altri aspetti, è stato davvero arricchente. È stato molto bello che i tutor abbiano avuto una funzione di collegamento con il pubblico e con la comunità, dato che questo è un progetto complesso. Diversi gli approcci: quello di Anna Maria Monteverdi riguarda l’aspetto soprattutto multimediale e del live interaction che è presente in questo lavoro con la presenza di video, ma anche con le interazioni dal vivo attraverso la tecnologia; Simona Maria Frigerio, come giornalista, ha puntualizzato su alcune tematiche che emergono, in particolare sui confini, e le istanze portate dai diversi partecipanti. E poi fondamentale è stata la figura di Francesca Giuliani, che ha seguito dall’inizio questo lavoro, sin dalle sue prime sessioni, in maniera molto delicata, e ha permesso davvero ad alcune situazioni di svilupparsi, già solo per il fatto di esserci e di ascoltare un gruppo internazionale così eterogeneo.