Arti Performative

“Aucune idée”: la soave irriverenza di Cristoph Marthaler

Lucia Madonnini

Un grande ritorno sul palcoscenico, l’amicizia tra il regista svizzero Cristoph Marthaler e l’attore scozzese Graham F. Valentine: il progetto quarantennale ha dato alla luce uno spettacolo intimo, che riesce ad esplorare l’ignoto mettendo in stretta relazione note musicali, canto, parola e mimica. La performance, Aucune idée, andata in scena al Triennale Milano Teatro nell’ambito del festival FOG, è firmata dalla naturale e inconfondibile irriverenza sancita dai due interpreti che condividono cinquanta anni di carriera.

La drammaturgia, firmata da Malte Ubenauf, lascia ampio spazio a momenti di ignoto, in cui gli attori, accompagnati dal musicista al violoncello Martin Zeller, sembrano improvvisare le loro azioni sul palcoscenico, creando situazioni grottesche e assurde. In scena, situazioni quotidiane, che strizzano l’occhio al paradossale, per celebrare il potere che risiede dietro ogni nostro errore, anche quello più piccolo: i due interpreti diventano così dei professionisti, degli acuti calcolatori impegnati nell’analisi dei disturbi cognitivi.

Costellata da eventi improvvisi e slegati gli uni dagli altri, l’azione provoca nello spettatore un senso di spaesamento. Tutto si concentra su un pianerottolo di un condominio, un luogo assurdo di transizione e di passaggio, in cui si aprono porte, gente che entra e che esce, dove si percepisce la presenza di altri condòmini, che permettono ai due attori di entrare nelle proprie abitazioni e di scambiare qualche parola veloce. Il disorientamento viene già messo in chiaro dal titolo provocatorio, Aucune idée, ossia “nessuna idea”, che lascia intuire una realtà costruita su poche certezze. Calza a pennello la melodia del violoncello di Zeller, la musica si interrompe, segue ritmi diversi, prima calmi e lenti, poi improvvisamente più veloci e concitati. Vengono aggiunti anche altri elementi dal carattere bizzarro: la luce che va e viene, la casella postale che continua letteralmente a vomitare lettere e libri di vario tipo, le serrature che non si riescono ad aprire, i tubi otturati del calorifero e i quadri che sembrano sempre storti, anche quando in realtà non lo sono. Tutte queste situazioni creano a loro modo un collegamento, un ponte impalpabile, con il Teatro dell’Assurdo anni ’50, ma con l’irriverenza sempre poetica e soave che accompagna i mondi di Cristoph Marthaler.



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