La danza contemporanea: ritorno al passato con Hofesh Shechter e Dada Masilo
Sempre più diffusa è la tendenza della danza contemporanea a riprendere titoli del repertorio, ricostruire tradizioni, rileggere archetipi. C’è un’inclinazione generale dei coreografi più noti sul panorama coreutico attuale a indagare sul concetto di comunità antropologica, sulle matrici etno-identitarie dei gruppi. La danza si fa etnica e rituale. È la danza dei villaggi, dei mercati, delle guerre, dei matrimoni, delle stagioni e delle nascite. Lo sanno bene il coreografo israeliano Hofesh Shechter e la coreografa sudafricana Dada Masilo. Si tratta di due nomi di punta della danza contemporanea internazionale che hanno impreziosito il Festival Aperto di Reggio Emilia e le cui compagnie hanno danzato rispettivamente lo scorso 14 novembre al Teatro Valli e il 17 novembre al Teatro Ariosto.
Hofesh Schechter riprende Political Mother, una coreografia ideata dieci anni prima e basata su una propria composizione musicale, per crearne una versione destinata alla compagnia giovanile Shechter II; nasce così Political Mother Unplugged, una danza feroce e bellicosa come l’originale, ma che vibra insieme a musica, luci e proiezioni. Hofesh compie, dunque un’operazione di fusione – ormai usuale nel contemporaneo – tra danza e tecnologia, trasformando la coreografia in un’esperienza performativa che nulla sarebbe senza determinate installazioni. La danza potrebbe sembrare astratta se non fosse per la narrazione drammaturgica presente all’inizio dello spettacolo. Un guerriero samurai si trafigge con una spada squarciando il sipario che si apre sul suo atroce grido di dolore. Segue una guerra, una lotta di costante autoaffermazione sul prossimo ma anche una riconciliazione. I danzatori si dispongono in squadroni militari, ripetendo più volte le sequenze coreografiche. La loro è una ripetizione non ossessiva e fine a sé stessa ma una reiterazione che si sviluppa in crescendo insieme al ruggito della musica a cui hanno collaborato Nell Catchpole e Yaron Engler. Anche le video proiezioni, curate dal designer Shay Hamias, disegnano un guerriero del futuro, forte e fosforescente. Ruggisce anche lui rimandando al grido del samurai. Tutto è violento, prepotente, ma c’è sempre un filo comune tra i danzatori che spesso si ritrovano insieme in una figura piramidale, sprofondando in una grande quarta posizione con le braccia aperte verso il basso come in una V capovolta.
Dada Masilo non riprende un proprio precedente lavoro, bensì il tema di Le Sacre du printemps e trasforma il capolavoro di Stravinskij in una coreografia dove fa da protagonista l’identità culturale del Botswana, resa grazie all’energia della locale danza tswana. Mentre quella di Hofesh era una comunità prevalentemente maschile questo nuovo The Sacrifice di Dada Masilo dipinge una società matriarcale. Le donne danzano a seno nudo coperte solo di una veste bianca che cinge loro la vita. Chiaro il richiamo alla fertilità, al materno e al femminile. La danza qui è molto più semplice, delicata, si accompagna a canti e a cori tradizionali. Non manca anche qui l’Eletta, che mentre nel balletto di Stravinskij viene sacrificata in favore di una nuova e più fertile primavera, qui danza un assolo che sembra quasi liberatorio e tutt’altro che mortale. Così, la coreografa sudafricana rilegge il rito del sacrificio e lascia un punto interrogativo sulla possibilità di raccontare una storia nuova che, attraverso l’evoluzione, possa liberarci dalle crudeltà del passato.
Entrambi i lavori, diversissimi tra loro, sono tuttavia uniti da una danza tribale e di rito. Sono forse tra gli spettacoli attualmente più aderenti a questo concetto di ritorno al passato. Forse la danza contemporanea sta vivendo, come già è successo in passato per la danza classica, una sorta di neoclassicismo, di recupero di strutture antiche di matrice classica in passato, di origine primitiva nel presente, per un recupero non di valori comunitari, ormai forse quasi del tutto sgretolati, ma di istinti e passioni sopiti o dimenticati.
[Immagine di copertina: “The Sacrifice” di Dada Masilo]