#Fuorinorma. “Il caso Braibanti”: storia di un intellettuale e di una persecuzione politica
Aldo Braibanti è stato un drammaturgo, un poeta, uno scrittore, un regista teatrale, uno sceneggiatore per il cinema, un autore d’avanguardia, e poi anche un esperto mirmecologo (studioso, cioè, del comportamento delle formiche). Un intellettuale impegnato, un attivista politico, un antifascista durante gli ultimi anni del Regime. Un giovanissimo partigiano tra il 1943 e il ’45, arrestato e torturato dai fascisti della Banda Carità. Un uomo brillante e insieme mite, «un genio straordinario» (nel giudizio che diede Carmelo Bene). E protagonista di uno dei più gravi e colpevolmente dimenticati episodi di malagiustizia della storia dell’Italia repubblicana. Accusato di aver plagiato un uomo, Giovanni Sanfratello, il processo, iniziato nel ’64, si concluse nel ’68 con una condanna ai suoi danni a nove anni di carcere (ridotti a 6 in appello).
Proprio attorno alla sorprendente vivacità intellettuale di Braibanti e all’incredibile vicenda giudiziaria che lo ha colpito ruota Il caso Braibanti, film di Carmen Giardina e Massimiliano Palmese proiettato lo scorso 5 dicembre al festival Fuorinorma, la via neosperimentale del cinema italiano – di cui Scene Contemporanee è media partner – curata da Adriano Aprà a SCENA, la sala rinnovata in via degli Orti d’Alibert a Roma.
Il processo Braibanti, iniziato nel 1964 e concluso nel 1968, copre un arco temporale che coincide con anni di cruciale importanza per la storia recente del nostro Paese. Sono gli anni in cui esplodono le contraddizioni del boom economico, e si palesano le conseguenze prodotte dalla rapida crescita economica che la Repubblica aveva conosciuto nei suoi primi anni. Conseguenze che genereranno quella conflittualità sociale destinata, in assenza di un’adeguata risposta da parte delle istituzioni, a sfociare nella violenza politica e nel terrorismo del decennio successivo. Sono anni nei quali all’apertura di parte del sistema politico, verso quelle che all’epoca venivano chiamate le “forze del progresso”, si contrappongono spinte alla reazione che mirano invece a realizzare una netta chiusura del sistema alle richieste di cambiamento, e a imporre una svolta della politica in senso autoritario (come nel caso del “Piano Solo” del Generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo). Sono spinte che coinvolgono un ampio pezzo della classe dirigente italiana del tempo: politica, militare, giornalistica. E persino giudiziaria.
È in questo contesto che maturano le condizioni che porteranno Braibanti a subire un procedimento giudiziario dagli evidenti connotati politici, e che prenderà a pretesto un reato, quello di plagio, codificato dal codice Rocco – il corpo di norme di diritto penale scritto durante il fascismo – e dichiarato incostituzionale solo nel 1981, per mettere in realtà sotto processo le spinte d’avanguardia intellettuale e sociale che Braibanti rappresentava. E per colpire l’omosessualità, vista come una devianza sociale e malattia da curare attraverso massicce dosi di elettroshock, cui il giovane Sanfratello venne a lungo sottoposto. Braibanti come Socrate, insomma, alla sbarra perché con la sua vitalità intellettuale metteva a nudo le contraddizioni di un sistema incapace di leggere quanto avveniva nella società.
Attraverso un complesso lavoro di ricerca, ricostruzione e montaggio, l’opera di Giardina e Palmese mescola filmati di repertorio a interventi di testimoni del tempo (come Dacia Maraini, Lou Castel, Piergiorgio Bellocchio e Maria Monti) e a scene estratte dello spettacolo teatrale che lo stesso Palmese ha scritto sul caso, in un racconto insieme meticoloso e appassionato che ripercorre le tappe di quello che lo stesso Braibanti ha definito, molti anni dopo, un “processo politico”, senza tuttavia lasciare che la vicenda giudiziaria offuschi l’importanza culturale e artistica del protagonista, che invece emerge con forza. Spazio viene infatti dedicato anche ai laboratori di teatro sperimentale e al ciclo di spettacoli monografici ideati dal Braibanti con il titolo di Virulentia, alla collaborazione con Carmelo Bene, e alla fondazione della storica rivista culturale Quaderni piacentini, insieme ai fratelli Piergiorgio e Marco Bellocchio.
Il caso Braibanti racconta e analizza la storia di un artista e di una vicenda giudiziaria che risale a più di cinquanta anni fa, eppure riesce a restituire i contorni ancora terribilmente attuali di una società in perenne conflitto, tra spinte alla modernità e alla crescita insieme artistica, intellettuale e sociale, e brutali reazioni di chiusura.