“La vita salva” di Silvia Frasson, spettacolo-simbolo della ripartenza, inaugura la stagione teatrale di Fortezza Est a Roma
Tra importanti teatri che chiudono i battenti e direttori mancanti, la storia del teatro a Roma negli anni della pandemia sarà uno dei capitoli più tristi della cultura italiana dell’ultimo decennio. Ogni tanto, però, c’è anche una buona notizia. Inaugura finalmente stasera, 18 novembre, la stagione teatrale di Fortezza Est, a Tor Pignattara. Nell’ultimo anno è stata libreria e biblioteca condivisa, e ora parte con una programmazione teatrale, non senza dimenticare il legame che i direttori artistici conservano con il quartiere, dove da 12 anni, prima fondatori de La Rocca Fortezza Culturale e poi direttori artistici del Teatro Studio Uno – di cui in qualche modo Fortezza Est rappresenta l’evoluzione – hanno sempre speso energie, nel nome della cultura. Al via da oggi, quindi, più di 20 appuntamenti con la drammaturgia contemporanea e nuove proposte artistiche di compagnie già selezionate per il Teatro Studio Uno nella stagione ’19-’20.
Fortezza Est, realtà sempre nel quadrante Est di Roma, riqualifica uno spazio che nel tempo è stato lavanderia, chiesa, bisca, sala biliardo, palestra. A calcarne per la prima volta le scene, aprendo ufficialmente le danze, è Silvia Frasson, autrice, attrice e narratrice toscana dalla verve potente e straordinaria, assolutamente da non perdere. Arriva in scena da stasera a sabato 20 novembre ore 20.30 con La vita salva, definito «inno alla vita e al teatro di narrazione», che nasce per «raccontare la vita, in tutte le sue forme, nei dolori imprescindibili, negli incontri inaspettati, negli eventi piccoli e grandi che si susseguono e si alternano, non curanti di noi e dei nostri desideri».
A distanza di cinque anni, quindi, Silvia Frasson fa ritorno a Roma, e la gioia che prova contagia, passa dal telefono al cuore, nella conversazione che, proprio come quando Silvia è sul palco, lascia immaginare quello che non possiamo vedere: la forma della sua emozione, gli occhi luminosi e grandi, quel sorriso suo infinito. Prima di cominciare l’intervista, non a caso, ci confessa che è un periodo luminoso della sua vita. Partiamo allora da qui.
Questo è un periodo luminoso della tua vita. È una sensazione legata al tuo spettacolo?
Sì, sicuramente. Da un punto di vista professionale, è forse il periodo più luminoso che abbia mai vissuto. Era da tanto tempo che non debuttavo con uno spettacolo mio. L’ultimo spettacolo era stato Amore e ginnastica, ma si trattava di una riscrittura da Stefano Massini, non ero io l’autrice. La vita salva è nato durante un laboratorio di narratori in Trentino condotto da Francesco Niccolini, che si chiama “Montagne racconta”. Ogni anno sceglie dieci progetti e si fanno venti giorni di residenza artistica immersi nella natura, trascorsi a scrivere. O meglio, la mattina si scrive e il pomeriggio si cammina per i boschi. La situazione ideale per creare! Alla fine di questo laboratorio nascono i primi quindici minuti di spettacolo. Così io ho presentato i primi quindici minuti dello spettacolo La vita salva, che da lì è nato. Un po’ per caso, proprio come nascono le cose importanti.
La vita salva è definito addirittura «un inno alla vita». Che cosa significa per te? Quanto questa vita ti appartiene?
Due anni e mezzo fa c’è stato un periodo della mia vita che mi ha portata a dire che sono stata molto fortunata fino a quel momento. Dopodiché, per la prima volta, ho sentito di essermi confrontata con la perdita, la morte di persone più o meno vicine. Morti che avevano una caratteristica in comune: erano persone molto giovani. La morte arrivava in modo improvviso. Questo mi ha scossa molto, avevo bisogno di reagire in qualche modo e per reagire a questo scontro con la morte ho trovato necessario partorire un rapporto di vita. Un inno alla vita, appunto, che non è la vita mia o quella del singolo, ma qualcosa di più grande, che contiene tutti e che va avanti e si rigenera addirittura in corrispondenza con la morte. Una delle tematiche, infatti, che c’è all’interno di questo spettacolo è la possibilità di diventare donatori di organi, che è una cosa che tendo a non svelare del mio spettacolo, per non creare aspettative “tetre”. È stato con il tempo che ho compreso bene le motivazioni che mi hanno portata a scegliere queste storie, ovvero il fatto che le mie storie nascono come reazione alle cose della mia vita. È come se per attraversare le cose della vita, io sentissi l’urgenza di raccontarle. E vale anche l’inverso: se io posso raccontarci sopra una storia vuol dire che ne sono uscita incolume. Raccontare storie mi serve per guardarle meglio.
Chi sono i personaggi di questo spettacolo?
Si verifica l’incrocio di tante storie, di personaggi diversi. Arrivano, si incontrano tramite un evento traumatico, ma ciascuno porta all’interno della storia la propria vita: c’è la storia di una infermiera, che ha appena ricevuto una proposta di matrimonio e non sa cosa decidere; una dottoressa, che ha sessant’anni ed è il momento in cui, spinta dalla figlia, ricomincia a vivere iscrivendosi a una chat di incontri; ci sono i personaggi della madre e del fratello del ragazzo che muore; e poi c’è una bambina di dieci anni che scrive i suoi sogni… Ci sono quindi quei personaggi che hanno la funzione di portare tutti quegli aspetti della vita che sempre contrastano con la sofferenza, la malattia e la morte. Ci accade quando soffriamo: ci sembra incredibile che la vita vada avanti nonostante tutto. Accanto a noi c’è qualcuno che si è innamora o che semplicemente è in dubbio nelle sue cose piccole, quotidiane. In questo senso lo spettacolo ha a che vedere con tutte le forme della vita, sia quelle felici sia quelle meno felici.
Lo spettacolo è nato in un periodo precedente al Covid, eppure le sue tematiche risuonano in modo fortissimo. Come cambia il significato di questo testo, oggi, alla luce di tutto quello che ha sconvolto la nostra esistenza, dai lutti alla mediatizzazione di alcune sfere della vita, alla paura, al distanziamento sociale?
È stato scritto prima, ma ha debuttato subito dopo il primo lockdown, nel luglio 2020. Mi sono resa conto riprendendo il testo che c’erano dentro delle parole che per noi erano diventate assolutamente quotidiane, e che prima non lo erano affatto, come “terapia intensiva”. Ci sono delle parole che in modo inevitabile dopo questo momento – e “durante”, visto che lo stiamo ancora vivendo – risuonano molto più forti di prima. Poteva sì capitare come a me di esserci passato oppure no, di essere entrato o meno in un ospedale. Magari si tratta di cose alle quali non avevi mai pensato, o nemmeno mai pronunciato. Dopo il Covid-19 ciò non è più possibile. L’immagine della terapia intensiva è nella nostra testa di continuo.
Sai che io cerco sempre di incontrare il pubblico alla fine dello spettacolo. Le persone mi scrivono i loro commenti e la cosa più bella che ricevo è: “Grazie, perché mi hai fatto venire una voglia di vivere pazzesca”. Era quello che io cercavo raccontando questa storia. Non possiamo fare altro davanti alla morte che vivere prendendoci tutto quello che possiamo, ogni giorno. E poi, da un punto di vista autorale, la cosa che mi gratifica tanto è che il pubblico mi dice spesso di aver visto lo spettacolo come se fosse un film. Io ci sono abituata, ma mi rendo conto che è una sorta di “esperienza”, che io per la prima volta ho vissuto quando ho visto Laura Curino: non avevo mai visto prima uno spettacolo di teatro di narrazione, non sapevo proprio che cosa fosse la narrazione! Mi imbattei in Passione, di Laura Curino, a Milano, ero appena entrata alla Civica Scuola “Paolo Grassi”. Mi sembrava incredibile che un’attrice da sola in scena fosse in grado di farmi vedere dei mondi, foreste, battaglie, lei poteva interpretare qualsiasi personaggio. Eppure era da sola, in scena non c’era niente. Credo sia molto bello e divertente quando avviene questa magia, sia dal punto di vista del pubblico, sia dal mio punto di vista.
Da quanto mancavi a Roma e qual è il tuo rapporto con la città?
Vi mancavo dal 2014. Ci sono tornata poco negli ultimi anni. Sono tornata ad amare Roma quando sono andata via da lei, ovvero dopo il 2010, dopo averci vissuto per cinque anni e mezzo. A Roma ho lasciato dei pezzi di cuore, degli affetti che ho costruito negli anni. Mi mancano molto e ne ho nostalgia. Ai tempi lavoravo con Massimo Castri al Teatro Argentina, avevo fatto con lui due spettacoli e quindi decisi di trasferirmi a Roma per provare a vedere come andava. Solo che è stato estremamente difficile vivere a Roma. Non sono riuscita a entrare in quel giro, in quelle possibilità che ti danno una continuità lavorativa. Quando mi sono trasferita a Firenze – cosa accaduta da un giorno all’altro – ho cominciato a lavorare tanto. Tuttavia, a Roma avevo lasciato queste persone a cui volevo bene e volevo, come a una festa di compleanno, che venissero a trovami quando ero in scena. Era proprio l’occasione per rivedere delle persone, non tanto «vengo a fare lo spettacolo a Roma!». Adesso è diverso. Vorrei vivamente che le persone care venissero a vederlo, come quando hai un figlio e lo vorresti presentare agli affetti. È così. Vorrei che La vita salva lo vedessero tutte le persone a cui voglio bene, perché è una cosa grande. Essendo poi per me questo un periodo molto bello da un punto di vista lavorativo, oggi guardo alla tappa romana in un modo un po’ diverso. Ci arrivo dunque per lavorare.
A proposito di lavoro e di affetti, anche stavolta torni in scena da Eleonora Turco e Alessandro Di Somma, ma nel nuovo spazio di Fortezza Est, persino inaugurandolo. Come ti senti?
Non sapevo che aprissero la stagione con me! Si prendono un bel rischio! Eleonora e Alessandro mi piacciono tantissimo, e anche il fatto che questo spazio lo abbiano strappato alla pandemia, cominciando a lavorarci nel periodo in cui era tutto fermo ed eravamo disperati, mentre era il periodo più buio per la cultura. Mi è sembrato bello che ci siano state delle persone come loro che abbiano pensato a quando i teatri avrebbero riaperto i battenti e avremmo potuto godere, “di nuovo”, di qualche cosa di “nuovo”.
Altre date de La vita salva?
Sarò al Teatro Litta di Milano a maggio e sarà la prima volta che andrò con un mio spettacolo da solista a Milano, e sarò anche Torino in primavera, al Cubo Teatro.
[Immagine di copertina: “La vita salva”. Foto di Antonio Viscido]