Romaeuropa Festival. Viktor Cernický // PLI
Dall’11 ottobre le capienze dei teatri sono ritornate a sfruttare il 100% delle loro possibilità, ma la questione sui cui ora si interrogano gli operatori è come fare per riportare il pubblico a teatro e riempire le sale dopo un lungo periodo in cui luoghi della socialità come teatri, cinema e, peggio ancora, le discoteche sono stati presi di mira dai decreti nella fase più critica dell’emergenza sanitaria. Alcuni, come il Romaeuropa Festival in corso nella capitale, stanno dando l’opportunità agli spettatori di decidere, in fase di prenotazione del biglietto, se avere il distanziamento oppure no; scelta di cui lo scorso 15 ottobre, al Mattatoio nel quartiere Testaccio, nessuno sembra aver voluto realmente usufruire quando siamo stati a vedere PLI di Viktor Cernický, un dato che ci lascia ben sperare per un prossimo ritorno alla normalità. Per la prima volta dopo quasi due anni di chiusure e distanziamento sociale ci è capitato di rivedere una sala gremita con un sold out di nuovo degno di chiamarsi tale. E infatti lo spettacolo ha meritato moltissimo la visione.
Lo show comincia con un effetto, l’effetto domino con cui scivola fragorosamente a terra una diagonale di sedie. Se dovessimo cercare a forza una sinossi, un intreccio, in questo lavoro che una sinossi non ce l’ha, potremmo dire: c’è un tizio che inizia a mettere a posto delle sedie da conferenza, ma poi ci prova gusto a farlo, sfidando la forza di gravità per costruire bizzarre architetture.
Non ci sono musiche, solo il suono delle scarpe da ginnastica usate a mo’ di strumento musicale. È una sorta di tip tap in scarpe da ginnastica la danza che Viktor Cernický ci offre, tra beat musicali e il suono delle suole che strusciano sul pavimento a cadenza regolare, mentre muta la disposizione delle ventidue sedie donando una coerenza grafica, una sistematicità razionale, alla loro collocazione nello spazio.
Lo spettacolo diverte, si lascia godere con la sua teatralità. I suoi tratti circensi generano una comicità raffinata, mentre la fragile composizione delle sedie, una sull’altra appoggiate nelle più improbabili configurazioni, trasforma lo spazio di volta in volta attraversato da potenziali significati: un ring, una torre, una scultura vivente da sfidare, un mostro da domare e di cui studiare o prevedere le mosse provocate dalla forza di gravità. Cernický ci lascia intravedere, grazie alla nostra complicità visionaria, tante storie abbozzate in successione.
PLI si dice ispirato ai principi fisici del filosofo Gottfried Willhelm Leibniz, e per questo ogni costruzione potrebbe essere interpretata come il passaggio che precede una decostruzione. Nonostante le premesse filosofiche, lo spettacolo è capace di avvicinare qualsiasi tipo di spettatore, grazie all’alchimia tra scena e spettatori che Cernický riesce a compiere attraverso le sue azioni intrise di nonsense, facendoci sentire tutti partecipi allo stesso modo di questo gioco imprevedibile di costruzione e smontaggio: non solo vicini con il corpo – come non lo eravamo da tempo – ma, in più, sorpresi e affascinati dall’intelligenza spiritosa con cui ci intrattiene.