Roberto Andò // La tempesta
La regia di Roberto Andò de La Tempesta di Shakespeare, recentemente vista sul palco del Teatro Vascello di Roma, è come il suo personaggio Calibano, «metà uomo e metà pesce». A esser precisi, né carne né pesce. Neppure un cast eccellente è riuscito a salvare uno spettacolo arenato sull’isola delle confuse fantasie del regista. L’inizio ci aveva fatto ben sperare: la discesa di Ariel – qui nei panni maschili di una sorta di maggiordomo interpretato da Filippo Luna – lungo il corridoio di scale centrale della platea, che tra le mani regge una piccola nave, ci è parsa un delicato omaggio alla Tempesta di Peter Brook. Così come l’effetto dell’acqua che cade dall’alto ci ha ricordato The Last Tempest (1991), celebre e visionaria pellicola di Peter Greenaway. Ma la sobrietà di una prima essenziale, teatrale, immagine si è andata a scontrare poi con un superfluo impianto scenico di gusto cinematografico. Non si capisce bene perché Andò abbia deciso di ambientare La Tempesta in un nosocomio allagato, né perché a un certo punto scivoli una cucina in scena dalle quinte, in questo spazio troppo definito e realistico per esser ancora luogo simbolico, dell’immaginazione e del teatro. A destra, faticosamente ricavato in una nicchia del boccascena, il piccolo studio con scrittoio di Prospero (Renato Carpentieri). Il protagonista, Duca di Milano, viene allontanato dal fratello Antonio che gli fa perdere possesso del ducato. Per sbarazzarsi di lui, Antonio lo lascia su una scialuppa in mare insieme alla figlia Miranda, con cui però si salva e raggiunge un’isola che, grazie ai suoi poteri magici, inizia a dominare sottomettendo il suo unico e incontrastato abitante selvaggio, Calibano.
Libri su un letto, su un altro letto dorme Calibano, letti che salgono e scendono o che restano a mezz’aria. Calibano è un matto da legare, un emarginato sociale, non diverso per cultura, ma per salute mentale. Felice la trasfusione di questo ambiguo personaggio nel corpo dalla tempra animalesca, comica, diabolica e acrobatica di Vincenzo Pirrotta: è la sua, senz’altro, l’interpretazione migliore che si potesse avere, di tutto il cast. Persino quella di Carpentieri risulta fiacca, ridotta al minimo dispendio energetico; eppure, anche in questa modalità, ogni suo gesto, espressione, parola pronunciati valgono dalla platea dieci volte quello di un attore mediamente capace. Gli sta accanto la complice, tenera Miranda (Giulia Andò), un po’ troppo emotiva e febbrile. Spiccano, invece, i ruoli comici: oltre a Calibano, quello di Ariel, Trinculo (anche interprete del ruolo di Antonio, Paride Bennassai) e Stefano (anche interprete di Alonzo, Francesco Villano). Sul finale, che lancia una visione registica fuori posto rispetto al resto, Prospero veste i panni di un intellettuale a cavallo tra Ottocento e Novecento.
Per una lettura diversa di questo spettacolo, consigliamo su queste pagine la recensione di Carmen Navarra.
LA TEMPESTA
di William Shakespeare
traduzione Nadia Fusini adattamento Roberto Andò e Nadia Fusini
regia Roberto Andò
con Prospero Renato Carpentieri
Miranda Giulia Andò
Ariel Filippo Luna
Calibano Vincenzo Pirrotta
Ferdinando Paolo Briguglia
Gonzalo, Iris Gianni Salvo
Trinculo, Antonio Paride Benassai
Stefano, Alonzo Francesco Villano
produzione Teatro Biondo Palermo