#LaSceltaDiToronto. Zatoichi, di Takeshi Kitano
Il People’s Choice Award del Toronto International Film Festival: 10 vincitori per raccontare le scelte del pubblico nel corso dei 36 anni di storia del TIFF.
Dalla laguna veneziana al freddo di Toronto la strada da percorrere ne parrebbe molta, eppure nel 2003, qualcuno venuto da ancor più lontano, da quell’oriente che stavolta si carica di folle violenza, nichilismo e a volte depravazione sessuale, vi arriva diretto mettendo a segno il suo ultimo colpo. Takeshi Kitano si presenta al pubblico del Toronto International Film Festival con il medagliere appena rimpinguato dal premio alla Miglior Regia e il Leone del pubblico ottenuti al Festival di Venezia grazie all’ultima fatica, Zatoichi.
In terra canadese gli va altrettanto bene e Kitano porta a casa con il consenso popolare il People’s Choice Award, senza considerare che la Miramax ha già garantito la distribuzione del suo undicesimo film negli Stati Uniti, America Latina e Australia. Pellicola di indubbia kurosowaiana memoria, Zatoichi rimarca sin da subito il suo valore commerciale e la sua appetibilità presso il grande pubblico, rivelandosi il più grande successo al botteghino del cineasta di Tokyo un po’ in tutto il mondo.
Siamo nell’Ottocento e Zatoichi è un massaggiatore cieco che si guadagna da vivere con il proprio lavoro e con il gioco d’azzardo. Vagabondando di paese in paese giungerà così in un villaggio, dove verrà ospitato da O-Ume. Sul posto giungono anche due anche due geisha dal torbido passato e un ronin che si offrirà come guardia del corpo di uno dei capi per guadagnare i soldi che gli serviranno a curare la moglie malata. L’epilogo vedrà l’inevitabile battaglia con in premio un bottino cospicuo: la cittadina e tutti i suoi abitanti.
Grazie ai racconti di Ken Shimozawa ed all’interpretazione dell’attore Shintaro Katsu, che lo ha incarnato in una lunga serie cinematografica e televisiva, a partire dal 1962 sino al 1989, Zatoichi è noto per essere un abile masetro nello stile iai, che prevede di impugnare la spada a rovescio.
Giocatore di dadi, oltre che massaggiatore, cela la propria arma all’interno del bastone da cieco.
Il cineasta giapponese, che spesso ha “sbeffeggiato” tale personaggio, spinto dalla produttrice televisiva – nonché amica e mecenate – Chieko Saito, ha preso questa figura della tradizione, ne ha mantenuto delle caratteristiche base e poi l’ha rinnovata: capigliatura platinata, il bastone-spada rosso e costumi rivisitati. Persino il tratto della generosità del massaggiatore cieco, che sprezzante del potere dei tiranni aiuta la povera gente, è stata lasciata in secondo piano da Kitano, che ne ha invece fatto un personaggio solitario, taciturno e spadaccino formidabile.
Il mito del non vedente Zatoichi, la cui misteriosa storia è mostrata attraverso sporadici e inquietanti flashback, samurai e spade, verità celate e ruoli destinati ad invertirsi un gioco pirandelliano fino alla verità ultima: Kitano non si risparmia e gioca pesante sul rapporto tra cecità e visione, rimarcando motivi cari alla sua filmografia, come l’infanzia negata, il sogno, l’allucinazione e il cammino verso la morte. Un nipponico carosello teatrale che il regista serve in maniera cruenta – ma anche divertente – al grande pubblico, sottolineando il suo interesse più genuino: scoprire la verità nella follia, non certo nel realismo storico. Ed è il cinema stesso a permettere di “vedere” più di quanto possano fare gli occhi, sino ad esplodere nella risoluzione finale.
Il regista si ammanta di blu e diventa anche protagonista, in una caratterizzazione del personaggio superlativa, ma anche i “cattivi” e il ronin sanno il fatto loro. Una storia grottesca in cui non manca davvero nulla, persino il musical finale con il tip tap, e le parole diventano quasi superflue. La fotografia che omaggia Kurosawa, le musiche che accompagnano il carico emotivo di ogni sequenza, la spettacolarizzazione della morte, tra arti mozzati, sangue e iperrealismo pulp, realizzato attraverso una computer grafica immaginata per ridurre l’impatto sullo spettatore. Una sinfonia visionaria collocata in un universo dove il film di chambara è coreografato con spirito iconoclasta, dove i ciechi “sentono” meglio e gli occhi aperti non assicurano la vista e la comprensione delle cose. Con Zatoichi, il maestro giapponese porta a casa un altro trionfo, prima a Venezia e poi Toronto, con una pellicola che fa scattare il pubblico in piedi per il plauso su uno di quei finali che resteranno per sempre nell’immaginario collettivo come un puro momento da cineteca.