“Suite Escape” e “Young Hearts Run Free”: la danza sull’amore in Equilibrio Dinamico
La compagnia Equilibrio Dinamico, diretta da Roberta Ferrara, si conferma ancora una volta come eccellenza pugliese e punto di riferimento per la formazione e per la produzione coreutica internazionale. La mission della compagnia, lungi da uno sviluppo di una danza autoriale, è piuttosto quella della creazione di un solido repertorio che permetta l’incontro tra vari codici e cifre stilistiche della danza contemporanea e l’unione tra il pensiero dei danzatori e quello dei coreografi. Suite Escape – Fuga dal passo a due riaggancia nuovamente questo modus operandi della compagnia barese: la coreografia firmata da Riccardo Buscarini, dopo il debutto a Civitanova Danza, ha concluso il suo tour proprio in Puglia negli spazi dei Cantieri Teatrali Koreja di Lecce lo scorso 9 novembre. Ma lo ha fatto con una serata che ha voluto dar spazio anche alla formazione con Young Hearts Run Free, una creazione di Roberta Ferrara, frutto del progetto Educational Ensemble. Si tratta di un programma di formazione per la divulgazione e il perfezionamento della danza contemporanea che trova nell’ausilio di ospiti internazionali uno strumento di informazione, ricerca. Ciò permette sempre più spesso la creazione di una rete di contatti e legami miranti ad un concreto sbocco professionale per i partecipanti.
Il fatto che Young Hearts Run Free, danzata nel foyer del teatro leccese da un gruppo di giovanissimi danzatori dell’Ensemble, abbia introdotto, anticipandola, Suite Escape non è stato dettato dal caso o dalla volontà di distinguere la formazione dall’attività di produzione o dal professionismo. La ratio della coesistenza e della conseguenza delle due performance nella stessa serata ha piuttosto un’impronta drammaturgica. I due coreografi hanno creato, forse inconsapevolmente, una connessione coreografica raffigurante l’evoluzione dell’amore, la mutazione di un sentimento universale dalla giovinezza alla maturità.
Suite Escape è un raffinato esperimento di ricerca e riflessione coreutica ma anche un racconto onesto dei rapporti interpersonali, dell’ambiguità dei legami. Come suggerisce il titolo la coreografia va letta come una destrutturazione di tutto il repertorio classico, una fuga (escape appunto) dai suoi principi, dalla suite, termine che nel linguaggio musicale indica l’insieme di danze o brani strumentali tratti da più opere ed eseguiti in un unico concerto o momento performativo. E la creazione prende proprio la forma di un concerto da camera, grazie al pianoforte del M° Benedetto Boccuzzi, collocato in un angolo del proscenio.
Come in una vera classe di balletto professionistico con tanto di accompagnamento musicale in vece di una futura orchestra, il Maestro esegue i più famosi brani dei pas de deux del repertorio classico. Lo schiaccianoci, La bella addormentata, Lago dei cigni, Don Chisciotte, Il corsaro: titoli celebri che raccontano fiabe, incontri d’amore, frammenti di storia e di pensiero rivivono con Serena Angelini, Nicola De Pascale, Salvatore Lecce, Silvia Sisto, i danzatori interpreti di queste pietre miliari della storia della danza. La ricostruzione delle coreografie è una gioia per gli occhi degli intenditori del balletto classico che riescono a leggere perfettamente la coreografia originale, non ritrovandone la precisione e l’interezza bensì potendone cogliere il nucleo centrale. I celebri passi a due sono spogliati di ogni eccesso, vengono recisi i virtuosismi, le braccia superflue, esasperati i lirismi, annullata ogni leziosità; restano solo i respiri, le sospensioni, le dinamiche di peso e contrappeso; si gioca con gli off balance, con le prese e gli intrecci, le cadute.
Gli interpreti danzano in abiti semplici con dettagli dal gusto retrò, strizzano l’occhio agli anni Venti: un Don Chisciotte jazzato diventa l’incontro tra due uomini; le incursioni jazz che si alternano alle note di Caikovskij, Minkus e Adam rimandano ai locali notturni della belle époque, alla novità e alla leggerezza di quel periodo. Il punto focale da cui irradia ogni movimento è facilmente rintracciabile anche dagli spettatori meno esperti, grazie a questa operazione di cesellatura coreografica. Si potrebbe, infatti, ricondurre il tutto ad un riuscitissimo tecnicismo compositivo se il titolo non ricordasse, ancora con la sua etimologia, la duplice natura della creazione di Buscarini che, giocando con la traduzione dell’inglese sweet escape, è mosso piuttosto dall’idea di una dolce fuga d’amore.
Ma questa defezione non va intesa nel senso romantico del termine, né tantomeno letta come un mero sentimentalismo. I danzatori amplificano ogni virtuosismo espressivo, si prendono, si toccano, per un attimo si vivono e, infine, si respingono. Per poi ricominciare. Forse danzano il male del nostro tempo, la precarietà della vita e delle relazioni: tutto è contenuto, ridotto, parsimonioso (a tratti “avaro”?). È assai plausibile che si tratti di un contenimento volontario, dettato dalla maturità, forse anche un po’ dalla disillusione, dal crollo di un’idea più o meno chiara dell’amore. Si attende e si desidera l’unione mentre già si pregusta la sofferenza dell’abbandono, la coscienza del dramma di non poter restare insieme. Attraverso la doppia metafora della fuga dal passo a due, inteso come il repertorio classico e accademico, si fugge dal passato e dalle origini. Ci si contamina per andare incontro al futuro, per scoprire nuovi linguaggi, altri codici. Della danza, dell’amore, della vita.
La consapevolezza che si ritrova in Suite Escape manca totalmente ai giovanissimi interpreti di Young Hearts Run Free, che si pone come un perfetto esempio di identità tra idea e messa in scena coreografica. Anche questa creazione che Roberta Ferrara pensa per il suo Ensemble di formazione parla d’amore. Quello più puro e innocente, quello che sente i brividi sulla pelle, il vento tra i capelli, che tutto percepisce e tutto accoglie con slancio, spontaneità, incoscienza. È l’amore tragico e impetuoso di cui ci parla William Shakespeare in Romeo e Giulietta.
Sei bellissimi corpi acerbi vestiti di bianco danzano l’ebbrezza del primo amore. Anche qui, come in Suite Escape, tutto è basato sul respiro. Ma mentre il movimento di Buscarini è “respirato” ed è la conseguenza di una maturità cosciente, di un qualcosa che muove tale respiro da una ricerca più intima, quello di Ferrara non è che il respiro stesso, un primo vagito d’amore. Anche qui si avverte il lavoro sulle sospensioni e i contrappesi, ma è tutto più impulsivo, quasi emotivamente nervoso.
Dopo una piccola introduzione su pianoforte in cui i corpi adolescenti giocano ad intrecciarsi giunge il capolavoro musicale di Prokof’ev con il pas de deux del balcone tratto anch’esso dal balletto classico, di repertorio appunto, Romeo e Giulietta. Una musica come questa non può che gridare ancor di più la gioia del primo incontro d’amore, la libertà di vivere, i palpiti dei muscoli, la bellezza di lanciarsi nel vuoto. I danzatori si abbandonano l’uno all’altro con fiducia, si corrono incontro, saltano insieme nel vento creato dal loro stesso moto. Sentono e si sentono. Anche la loro è una fuga. Dalla stasi, dalla pacatezza, da un movimento maturo. Sfrecciano nel vento ansimando. Un vortice bianco e infinito è l’ultimo regalo al pubblico, prima che si spengano le luci.
[Immagine di copertina: “Suite Escape – Fuga dal passo a due” di Riccardo Buscarini]