Cinema Il cine-occhio

Gemini Man

Stefano Valva

Edgar Morin nei suoi scritti sul cinema diceva che durante la visione filmica avviene uno sdoppiamento tra lo spettatore e il film (e di conseguenza i personaggi, o meglio il protagonista), ossia un processo con una sorta di specchio, dove lo spettatore attraverso la pellicola possa rivedere sé stesso in quel determinato mondo, nel quale il cinema lo catapulta per un lasso di tempo determinato.

Il tema del doppio, caro al critico e sociologo francese, come un po’ a tutte le correnti filmologiche del secondo dopoguerra, è un tema sensibile al cinema da sempre, non solo per il processo di visione dello spettatore come detto poc’anzi, ma anche per veri e propri termini narrativi e di linguaggio.

Il nuovo film di Ang Lee, ossia Gemini Man, riprende proprio a modo suo tale tema, e nel caso specifico Henry Brogen (Will Smith), infallibile militare dalle missioni impossibili anti-terroristiche (o almeno lui così credeva), è oramai in pensione. Nonostante ciò, il suo passato professionale al servizio del governo statunitense lo ritorna a tormentare, stavolta addirittura per ucciderlo, dato che secondo gli organi governativi Henry è a conoscenza di dati sensibili e top secret, che possono mettere a repentaglio l’immagine delle agenzie di spionaggio (e si sa che in questi ambienti chi sa troppo è considerato come una bomba ad orologeria da disinnescare).

Ma come ammazzare un soldato infallibile, con grande esperienza e allenamento? Ce ne vorrebbe uno bravo tanto quanto lui, se non migliore. Anzi la soluzione è quello di creare uno come lui, anzi proprio lui, una fotocopia, ossia nel gergo contemporaneo del progresso tecnologico e delle narrazioni post-umane un clone (Junior), interpretato ovviamente sempre da Will Smith, che grazie ad un grande lavoro di make up digitalizzato viene ringiovanito di molt anni.

Qui sorge il citato tema del doppio – che segue anche quello della doppia interpretazione, molto in voga ultimamente anche nella serialità televisiva con The Deuce di David Simon, nella quale James Franco interpreta due fratelli mafiosi gemelli – che oggi con le logiche dell’ultra-tecnologia e del mercato del post-fordismo si è discostato dalle originarie tematiche della doppia personalità in letteratura – ripresa spesso nel cinema contemporaneo seguendo teorie post-moderne – ed è giunto al rapporto tra uomo e clone, o con l’androide (vedi Westworld di Jonathan Nolan), o, come nel caso del film in questione, ad una ricostruzione del DNA di Brogen su di un altro soggetto umano, come un figlio identico al padre in tutto e per tutto.

Chissà a questo punto cosa ne penserebbe Morin, vedendo che attraverso la ricostruzione fisica di un clone meccanico o umano che sia, oggi sia sorto ormai il tema del triplo comprendendo lo spettatore; ma questa è una digressione che va al di là dell’analisi della pellicola.

Ang Lee ormai è un regista esperto, ben apprezzato, e che si sa muovere su più fronti – come visto qualche anno fa con il racconto sentimentalistico e avventuroso di Vita di Pi (2012), che gli valse una delle sue candidature all’Oscar per la regia – quindi era comprensibile aspettarsi una pellicola in primis ben diretta – anzi aggiungerei sapientemente, grazie a delle inquadrature nelle tante scene action frenetiche, nelle quali soggettive, campi lunghi e carrellate seguono a ritmi sfrenati il protagonista in fuga dal sicario ingaggiato per ucciderlo, e manipolato dal padre spirituale ma non biologico, ossia Clayton Verris (Clive Owen) – ed inoltre una trama costruita lucidamente, seppur da un autore non abituato nella sua carriera a narrazioni di stampo post-umanistico.

Il titolo della pellicola segue anche l’essenza specifica del plot, perché Gemini Man è un programma, un obiettivo top secret, dove attraverso ricostruzioni genetiche di formidabili militari si possano edificare dei super-uomini in grado di ragionare come delle macchine, ossia spietati, infallibili e leali al cento per cento, e soprattutto non condizionati dai ricordi, dai traumi, dalla paranoia e dalle sofferenze che una vita del genere comporta.

Il semplice umano non basta più, perché seppur allenato, diligente e intelligente, è spesso emotivamente instabile, quindi non può essere determinante in tutto e per tutto per le esigenze losche dei servizi segreti. E ora la tecnologia, così tanto sviluppata, può aiutare il sogno di tutti i capi di tali gruppi militari alla ricerca da sempre di soldati che non ragionano, ma che seguono in ogni caso gli ordini, dei soldati senza coscienza.

Eppure spesso l’uomo non si rende conto di quello che sta creando, o che sta creando qualcosa che solo apparentemente crede di controllare, perché come specificato dalle narrazioni post-umane, sia i cloni, che gli androidi, che i robot ecc. posseggono una loro coscienza, perché sono parenti dell’umano, quindi non riproducono solo la sua estetica, ma anche una simile e variegata psiche.

Ang Lee in sintesi, costruisce un film dalla tecnica e dalla tecnologia assolutamente ben godibili sul grande schermo, e che affascinano lo spettatore, ed inoltre una narrazione idealisticamente interessante e sensibile, ma non accompagnata da uno sviluppo sorprendente della sceneggiatura, che si ancora inizialmente su un plot principale già visto periodicamente in altri prodotti del genere action in voga oggi,  concludendosi con una linearità fin troppo prevedibile, che stona con le ambizioni filosofiche e tematiche che il film e la sua regia consegnano di primo acchito allo spettatore.

Eppure come ci ha insegnato lo stesso Morin e la maggior parte della critica tradizionale dei Cahiers du Cinéma, un film in primis deve essere bello da vedere, perché l’immagine cinematografica è pur sempre l’essenza originaria e necessaria per una pellicola, fin dalla nascita della settima arte; e Gemini Man sicuramente lo è, perché il digitale e le sequenze d’azione non vengono costruite per puro caos o disponibilità di budget di produzione, bensì per una coerente logica visiva e di intrattenimento, che il regista taiwanese sa ben giostrare.

Gemini Man come detto è un titolo, un programma, un obiettivo, ma è di conseguenza anche una riflessione, perché in fondo l’umano non è poi così debole come molti credono, anzi le sue debolezze divengono allo stesso tempo le sue più grandi forze, perché solo attraverso l’assimilazione delle esperienze e dei tanto enfatizzati ricordi traumatici, un uomo può costruire l’arma più potente dentro di sé, per affrontare le missioni e le situazioni più pericolose. Post-umano, che è in questo caso lunga vita all’umano.

 


  • Diretto da: Ang Lee
  • Prodotto da: Jerry Bruckheimer, David Ellison, Dana Goldberg, Don Granger
  • Scritto da: David Benioff, Billy Ray, Darren Lemke
  • Protagonisti: Will Smith, Mary Elizabeth Winstead, Clive Owen, Benedict Wong
  • Musiche di: Lorne Balfe
  • Fotografia di: Dion Beebe
  • Montato da: Tim Squyres
  • Distribuito da: Paramount Pictures (USA), 20th Century Fox (Italia)
  • Casa di Produzione: Skydance Media, Jerry Bruckheimer Films, Fosun Pictures, Alibaba Pictures
  • Data di uscita: 01/10/2019 (Zurigo), 10/10/2019 (Italia), 11/10/2019 (USA)
  • Durata: 117 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 138 milioni di dollari

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