Ricordo molto bene le guardie del corpo discutere di cosa fossero i pagamenti “a scala progressiva” in L’inglese, e tra il suo ultimo film e High Flying Bird, Steven Soderbergh ha continuato ad analizzare le implicazioni sociali degli accordi finanziari. Combinando la commedia del come viviamo oggi di Soderbergh con uno zelo quasi documentaristico per lo spiegare, Panama Papers (titolo originale: The Laundromat) srotola vecchi intrecci relativi alla mole di informazioni dei Panama Papers, che hanno esposto il mondo delle proprietà offshore.

La sciatta pensionata Ellen Martin (Meryl Streep) cade vittima di una truffa assicurativa controllata da una fabbrica di inganni che attraversa Panama e l’isola di Nevis. Antonio Banderas e Gary Oldman (a cui viene assegnato un accento tedesco in cui entra con divertimento) interpretano i partner di uno studio legale, favorito giù nella catena alimentare da Jeffrey Wright come un facilitatore per innumerevoli compagnie “guscio”.

Ellen traccia le sue disgrazie prima con Wright, con una storia collaterale che si dirama per mostrarci un patriarca potente completamente corrotto dal raggiro. Ma c’è anche molto derivante direttamente da The Wolf of Wall Street / La grande scommessa: un’introduzione e voci fuori campo a intervalli regolari dove i personaggi untuosi di Banderas e Oldman mettono sul tavolo fatti e considerevoli finzioni di gestione sperperante del denaro.

Scritto da Scott Z. Burns, con Soderbergh co-produttore, regista e montatore (è il suo lavoro più centripeta), è un darsi una svegliata sperimentale, pieno di star, che costruisce la sua strada per la distrazione, ma allo stesso tempo tiene gli occhi ben in vista sull’obiettivo.