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“10mg”: una pillola terapeutica di teatro, parole, sorrisi, per riscoprire le connessioni umane

Roberta Leo

Scaffali farmaceutici pieni di pillole e flaconcini colorati, intriganti e appetibili troneggiano in un ambiente sterile e bianco fatto di ferro e plexiglass. È questa la scena in cui si svolge 10mg, la nuova produzione del Teatro Stabile di Torino, una tragicommedia diretta da Elisabetta Mazzullo e nata dal testo di Maria Teresa Berardelli che ha ricevuto la Menzione speciale al Premio Hystrio Scritture di Scena nel 2015. Si tratta di una pièce in cui si intrecciano le vicende di due coppie tra cui fa da medium la figura di un dottore, un moderno stregone che, attraverso psicoanalisi e medicine, dovrebbe lenire le sofferenze delle persone. Da un lato, due genitori di un bambino iperattivo, dall’altro, un direttore marketing di una grande società pubblicitaria senza scrupoli e la sua dipendente tanto fragile quanto stacanovista sul lavoro. I primi, innamoratissimi, verranno divisi dalla malattia del figlio, prima, e poi dal terribile lutto per la sua perdita; i secondi, vittime dello stress da lavoro e della frenesia dell’apparire sempre perfetti come le pubblicità che producono, si scontreranno con le loro paure e nevrosi. Entrambe le coppie si ritroveranno: singolarmente o tra loro, non importa, ma ciò sarà possibile solo dopo aver combattuto, accettato, compreso, e soprattutto, condiviso, le loro fragilità. Il dottore si mostrerà all’inizio lui stesso vittima del sistema affaristico delle case farmaceutiche, salvo poi ritrovare la propria vocazione e onestà professionale di ‘curatore dell’animo’ dopo aver sperimentato i sintomi del malessere. Tutti i personaggi ruotano intorno alla miracolosa pastiglia da 10 milligrammi, pubblicizzata e mitizzata come anestetico dello spirito, pillola della felicità, sembra essere la soluzione a qualunque tipo di dolore, anche quello devastante di un lutto. Persino davanti alla morte questi 10 milligrammi possono tutto, come del resto testimoniano i suoi spot pubblicitari. In queste scenette idilliache tutti si risollevano dal loro dolore più tetro come per magia. Musica, danze, risate, feste e colori animano questi spot ingannevoli, brevi spiragli di luce, o meglio, anticamere della distruttiva dipendenza da psicofarmaci.

“10mg”. Foto di Andrea Macchia

I bravissimi attori in scena Andreapietro Anselmi (nel ruolo del marito), Carolina Leporatti (moglie), Davide Lorino (direttore), Francesca Agostini (lei), Lucio De Francesco (medico) sono i colori che dipingono, rivitalizzandolo, questo contesto asettico, quasi ospedaliero, ricreato dall’1 al 13 giugno al Teatro Gobetti di Torino dalla scenografa e costumista Anna Varaldo, il light designer Jacopo Valsania e le musiche di Bettedavis (il duo formato da Davide Lorino e Elisabetta Mazzullo).

Al di là delle caratteristiche e della psicologia di ogni personaggio “10 mg” (di cui è possibile visionare su YouTube il docufilm, dal titolo CHIMICA SENTIMENTALE) affronta con garbo e leggerezza tematiche tristemente contemporanee come la depressione e la commercializzazione della malattia attraverso il sistema pubblicitario. A questi macro-temi si affianca l’analisi di tanti altri micro-temi riguardanti sentimenti, emozioni, stati d’animo, momenti con cui ognuno di noi si scontra nel corso della propria vita. L’amore, la paura, la solitudine, il desiderio, la frustrazione vengono sviscerati nella loro dimensione inconscia e nelle loro declinazioni del malessere. Quest’ultimo troneggia nelle nostre vite attuali così come i farmaci da banco che dovrebbero lenire tale ‘dolore di vivere’.

L’operazione registica effettuata in “10 mg” tratta questo interessantissimo materiale socio-psico antropologico attraverso l’arte, il teatro, la musica, la danza. La fisicità e la sonorità sono componenti presenti e di fortissimo impatto nello spettacolo. Il canto libera finalmente suoni, urla e voci provenienti dalla gola, intesa come sede metaforica, ma anche fisica, di tutti i non detti, dei silenzi, dei nodi irrisolti. La danza descrive i dialoghi, fa parlare gli sguardi e i corpi. Quella del corpo, così come quella della voce, è anche una forma di espressività che spesso resta castrata. Le musiche originali assorbono in modo integrale la drammaturgia e danno voce anche al silenzio. “10 mg” è teatro totale, all’ennesima potenza. Tutto è espressione, amplificazione, modalità per esternare ciò che si ha dentro.

“10mg”. Foto di Andrea Macchia

La pillola da 10 mg, più che un rimedio, è in realtà, un ulteriore blocco, un lenitivo anestetizzante il cui effetto è solo temporaneo. Appena svanito quest’ultimo, dolori e malesseri tornano a pulsare più forti di prima. E a quel punto meglio soccombere al circolo vizioso degli effetti collaterali piuttosto che curare la causa principale dei male: la solitudine. Oggi si parla tanto di autonomia, indipendenza, libertà nel lavoro, nelle relazioni e, in generale, nella vita di una società sempre più ‘connessa’ ma, in concreto, totalmente ‘offline’. L’assoluta assuefazione alle modalità di comunicazione virtuali nella loro deriva più malsana hanno interrotto ciò che era la vera comunicazione fondata sull’empatia, sulla parola, sull’ascolto, sullo scambio. Lo spettacolo veicola messaggi importanti per cui l’unica solitudine di cui si dovrebbe godere è quella, sana, che ci deriva dall’amore e dal rispetto per noi stessi e non dall’egoismo, dalle fragilità, dalla paura di connetterci con l’altro. “10 mg” ricorda. inoltre, il potere straordinario e curativo della parola, la sua capacità terapeutica, la magia di donare un sorriso. «Alla fine dello spettacolo – spiega la regista – mi piacerebbe che ogni spettatore tornasse a casa e telefonasse o parlasse a una persona a cui vuole bene. O anche che iniziasse a prendersi cura di qualcuno, di qualcosa, di una pianta, di sé stessi».

Oltre ad essere un’ottima esemplificazione del valore pedagogico e civico dell’arte, “10 mg”è uno spettacolo che, attraverso l’arte, offre spunti di soluzione al periodo storico che stiamo vivendo, un’idea di rinascita che parte dalla necessità di riapertura e riconnessione con l’altro, a prescindere che questo sia, il pubblico, la comunità, il territorio, l’Uomo.

 

[Immagine di copertina: foto di Andrea Macchia]



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